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2 Gennaio 2011

Ipnosi: definizione e introduzione

Stefano Crescita personale ipnosi, pnl 4 Comments

Ipnosi! Alzi la mano chi non ne ha mai sentito parlare: nessuno. Sono però in pochi quelli che sanno il vero significato di questa potente tecnica usata non per fare cabaret, bensì a scopi terapeutici negli studi di tutto il mondo. Il concetto nell’immaginario comune è estremamente vago e per la maggior parte delle persone nebuloso. Riuscite a dare una definizione pratica del termine “ipnosi”? Probabilmente ci penserete sopra qualche secondo, magari proverete ad azzardare un paio di definizioni, ma non troverete qualcosa che veramente che vi soddisfi. Poco male, eccola qui: “l’ipnosi è un cambio di coscienza o di stato mentale indotto da fattori esterni”. Ok, bene, però non ne sapete molto di più di quanto ne sapevate prima!

Cosa ho voluto dire con questo primo paragrafo introduttivo? Che l’ipnosi è un argomento che merita di essere approfondito meglio, perché rappresenta uno strumento potentissimo da utilizzare per migliorare sia sé stessi che le relazioni con gli altri. Non serve essere dei laureati per ipnotizzare qualcuno in maniera molto blanda, così come non è fantascienza ipnotizzare sé stessi. Questo che state leggendo è un articolo introduttivo nel quale illustro le nozioni di base di questa tecnica molto valida, usata da noi e su di noi inconsciamente durante tutto l’arco della nostra vita. E visto che permea ogni momento della nostra giornata, perché non imparare a sfruttarla a dovere? Vista la vastità degli argomenti che voglio trattare partendo da questo presupposto, mi dispiace per voi lettori ma non troverete tutto in un solo post, anzi. Ho intenzione di iniziare oggi una serie di articoli riguardanti l’ipnosi, per fare un po’ di luce su questo argomento interessantissimo. Come ho già detto oggi inizio con l’introduzione, necessaria per sviluppare tutti gli argomenti futuri, per poi lanciarmi a capofitto dentro a qualcosa di più interessante. Non sono un fan dei posti teorici, e come sapranno i miei lettori più fedeli tendo sempre ad andare al punto della questione senza perdermi in inutili fronzoli, ma capisco anche che in questo caso se partissi in quarta a spiegare le tecniche ipnotiche non darei un’informativa completa.

La definizione, per quanto rappresenti una base di partenza, non è certo il punto di arrivo, anzi. L’argomento è estremamente variegato e non mi basterebbero cento pagine per illustrare la teoria dietro a questa scienza, quindi mi limiterò a dare alcuni esempi. Anzitutto, sappiate che siete ipnotizzati tutti i giorni e più volte al giorno: non è difatti necessario che arrivi un grande esperto, magari sventolandovi di fronte agli occhi un orologio a cipolla, per indurre questo stato. Nella definizione che ho riportato poche righe sopra ho detto “indotto da fattori esterni” non a caso, e c’è una ragione se non ho scritto il più restrittivo “indotto da altri”. I fautori del nostro strato di trance potremmo benissimo essere noi stessi (sì, non è un errore, per “fattori esterni” intendo anche noi stessi). Siete in auto diretti verso il luogo di lavoro, un percorso ormai conosciuto a memoria che non richiede più la vostra attenzione, visto che l’avete già fatto centinaia di volte. Cambiate le marce senza nemmeno pensarci, girate lo sterzo ed imboccate tutte le vie che vi porteranno alla vostra meta, e nel frattempo pensate a qualcos’altro o ascoltate un po’ di buona musica alla radio. Anche questa è ipnosi: state facendo qualcosa senza pensarci, automaticamente per così dire, e questo è un cambio di stato mentale dovuto al fatto che ormai nel cervello sono presenti dei collegamenti che eliminano la parte cognitiva nell’azione dell’andare al lavoro. Altro caso: state pensando ad un elefante rosa. Con questa frase vi ho indotto a pensare a quello che volevo io, e quindi vi ho ipnotizzato. Sembra semplice? Beh, per il momento lo è! Applicherò questo semplicissimo concetto nei prossimi giorni in svariati modi più o meno avanzati (ma comunque sempre alla portata di tutti), per indurre gli altri a pensare a quello che volete voi in maniera un po’ più subdola di quanto ho appena fatto io.

L’altra branca che analizzerò è quella dell‘autoipnosi: per quanto si chiami sempre ipnosi ha comunque delle caratteristiche peculiari. Anzitutto, non dovete stare a preoccuparvi di mascherare i vostri intenti per rendere più efficace la tecnica, ed evitare che l’interlocutore alzi le barriere: qui state parlando a voi stessi, quindi si presuppone che abbiate ben chiaro dove volete arrivare (a meno che non soffriate di personalità multiple :p ). Secondo, e qui sorgono i problemi, se dovete ricorrere all’autoipnosi per raggiungere un obiettivo significa che non riuscite a farlo in altri modi, e questo è già più grave: implica che qualcosa ve lo impedisce, e quindi rischiate di cadere nella trappola delle convinzioni limitanti; in altre parole, il vostro inconscio pensi di non essere in grado di raggiungere l’obiettivo, e visto che è molto presuntuoso e non vuole ammettere di essersi sbagliato, farà di tutto per farvi appunto fallire. Qui l’autoipnosi torna utile perché permette di cambiare questo stato mentale e sostituirlo con un più positivo.

Vi è piaciuta come introduzione? Volete saperne di più? Allora segui il blog su facebook oppure iscriviti al feed RSS per essere sempre aggiornato!

ALTRI ARTICOLI SULL’IPNOSI

 

1 – Suggerimenti mentali

2 – Il modello 4-3-2-1

3 – Entrare in sintonia con il linguaggio paraverbale

4 – Entrare in sintonia con il linguaggio non verbale

28 Dicembre 2010

Il meta model

Stefano Crescita personale pnl 5 Comments

parole a caso
Tante parole, meglio fare un po’ di ordine…

Continuiamo oggi con la PNL, che segue il mio articolo sulla sua introduzione e punti chiave. Così come ho già detto più volte in passato, c’è una nettissima discrepanza fra la quantità di informazioni che si riescono a percepire e quelle che si possono immagazzinare. Gli input dati al cervello sono così tanti e così complessi che il nostro encefalo, per non impazzire, deve prenderne alcuni e metterli in disparte nell’inconscio senza elaborarli, e se ne dimentica poco dopo. Ho già parlato di come recuperare alcune di queste informazioni nella memoria a breve termine, mentre oggi parlerò di un concetto leggermente diverso: il pensiero attivo.

Via la passività della memoria quindi, e largo al dinamismo dei processi cognitivi. Ma come fa il cervello a pensare? Senza stare ad annoiarvi con disquisizioni infinite, fa quello che fa in tutte le cose: semplifica. Anche qui ci sono troppe informazioni e pensare a tutto sarebbe un suicidio, quindi si costruisce dei ponti mentali atti a velocizzare il processo di elaborazione dei pensieri. L’evoluzione ci ha dotato di questa capacità perché milioni di anni fa era l’istinto che garantiva la sopravvivenza, e una decisione veloce era meglio di una ponderata ma lenta. Al giorno d’oggi però non ci sono più i leoni che ci saltano addosso, quindi è possibile fermarsi un po’ di più a riflettere. Peccato che il cervello ancora non si è abituato a questo nuovo assetto, e continua a semplificare. Spesso sbagliando, visto che sovente il cervello elimina delle informazioni essenziali ritenendole inutili, causando un effetto a catena che ci porta a sbagliare tutto e a credere a cose assolutamente false.

E lo fa in molti modi diversi, senza che ce ne accorgiamo. I due fondatori della programmazione neurolinguistica, Richiard Bandler e John Grinder, hanno elaborato il meta model (modello meta) nell’ambito della psicoterapia, dove viene utilizzato appunto per smascherare queste semplificazioni e aiutare il paziente. L’efficacia del metodo se paragonato ad altre tecniche moderne è tutt’oggi in discussione fra gli esperti, ma a noi non importa: quel che conta è che è semplice da applicare ed efficace senza grossi sforzi, se poi esistono tecniche ultra-complicate migliori lasciamole pure a chi fa lo psicoterapeuta per mestiere.

Finiamola con le parole quindi, ed ecco tutte le gabbie mentali che si crea il cervello e una semplice descrizione di come rimediare. L’articolo si dividere in tre parti, corrispondenti alle tre categorie individuate: distorsione, generalizzazione, eliminazione.

DISTORSIONE

illusione ottica

 

1 – Presupposizioni. È il comportamento più classico e lo si può osservare in tutte le cose che pensiamo o diciamo: quando si fa un’affermazione, si danno per scontate alcune nozioni che potrebbero non esserlo. Ad esempio, dicendo “anche Giorgio è disonesto” si presuppone che ci sia qualcun altro oltre a Giorgio ad esser disonesto. Non è difficilissimo da individuare, e basta soffermarsi su ogni affermazione per qualche secondo e verificare che i presupposti logici abbiano in effetti ragione di esistere.

2 – Causa-effetto. Questa è un’estensione del pensiero causale, ovvero X causa Y, oppure X mi fa sentire Y. Alcuni di questi collegamenti sono essenziali e si formano con l’esperienza (“se metto la mano sul fuoco mi scotto e sento dolore”), purtroppo però a volte questo procedimento fallisce e i ponti che si vengono a creare si basano su fondamenta non del tutto veritiere. Ad esempio, “il mio capo mi manda su tutte le furie” dovrebbe portare alla domanda: come può una sola persona influenzare il tuo stato mentale in questa maniera? Lo fa solamente perché il cervello crede ciecamente nella relazione di causa-effetto, e quindi non si pone nemmeno il problema di riflettere sul punto in questione.

3 – Leggere la mente. Ovvero credere di sapere cosa pensi un’altra persona. Ad esempio il classico “l’hai fatto apposta per farmi arrabbiare” dà per scontato che io sappia già in anticipo cosa pensa l’altra persona. Badate bene: a volte questo è effettivamente vero, e una serie di indizi ci possono condurre a sapere cosa pensa questa o quella persona, ma altre bisogna fare un passo indietro e capire che siamo tutti diversi.

4 – Equivalenza complessa. È molto simile al legame di causa-effetto, ma molto più forte e diretto. Ad esempio, dire “se non mi porta fuori a cena non mi ama più” è una semplificazione causata da una lunga serie di condizionamenti mentali e presupposti spesso errati, che vanno poi a formare le fondamenta di un pensiero che si crede razionale, ma in realtà si poggia su basi del tutto errate.

GENERALIZZAZIONE

balla di fieno

 

Anche questa categoria si suddivide in vari punti, perché contrariamente a quanto pensano in molti non esiste un solo tipo di generalizzazione, bensì due secondo la teoria del meta model.

1 – Quantificazione universale. È in sostanza quella che tutte le persone chiamano “generalizzazione”, in realtà si chiama quantificazione universale. Significa attribuire a tutto un gruppo una caratteristica che invece si riferisce ad uno o più elementi del gruppo stesso (come dire “tutti i miei impiegati sono scansafatiche”). Qui il campanello d’allarme è dato dalle parole “tutto”, “tutti” e simili, visto che nelle scienze umane l’eccezione c’è quasi sempre.

2 – Operatori modali. Torniamo a scuola: cosa sono i modali? Sono alcuni verbi come potere, dovere, sapere e volere. Si dividono in due categorie: modali di necessità (esprimono un obbligo inderogabile, soprattutto di tipo morale) e di possibilità (esprimono una possibilità che non deve essere per forza compiuta). Qualsiasi sia il metodo utilizzato, basta guardare la situazione da un’altra prospettiva, chiedendosi il fatidico “e se invece”. Ad esempio, se si pensa “devo tornare a casa” si faccia seguire la domanda: “cosa succederebbe se non tornassi a casa?”.

ELIMINAZIONE

1 – Eliminazione semplice. Avviene quando un’importante parte della frase viene eliminata, perché è data erroneamente per scontata. “Mi sento male” non specifica né perché ci si sente male né cosa significa la parola “male”. Dire “mi fa male la testa perché ho preso una botta” è già più completo (anche se ad essere puntigliosi si potrebbe indagare cosa si intende per botta). Qui solitamente le parole magiche sono “questo”, “quello” e “ciò”, ad esempio “questo mi fa sentire male” non specifica cos’è che fa sentire male. Bisogna andare ad analizzare il problema per trovare una soluzione, restare sul vago eliminando i dettagli è la via maestra per restare nell’immobilità senza speranza di miglioramento.

2 – Verbi generici. Si definiscono generici sia i verbi quali alcuni, un po’, diversi e così via, sia quelli dove non si riesce ad individuare come sia stato generato un risultato (se io dico “ho creato questo sito” non specifico come l’ho creato, e vi assicuro che ha preso parecchio del mio tempo!). Una piccola parentesi: questa è la tecnica preferita del venditori in erba di crescita professionale (che si spacciano anche esperti di programmazione neurolinguistica), e ancora di più dai venditori all’americana. Usano verbi generici del secondo tipo per far sembrare semplice qualcosa di complicato, dicendo ad esempio “per iniziare a guadagnare ti basta scrivere un e-book e crearci un sito”. Peccato che scrivere un libro non è impresa da tutti e creare siti è un lavoro vero e proprio.

3 – Comparativi e superlativi senza comparazione. Torniamo di nuovo a scuola: i comparativi sono quelle parole che comparano due o più cose mettendole in ordine di qualità (migliore, peggiore, più buono, più caldo, meno interessante), i superlativi invece danno più enfasi all’aggettivo che viene “superlativizzato” (evviva ho appena inventato un termine), come bellissimo, grandissimo, altissimo, il più grande, il più alto. Il problema è che molti utilizzano queste parole senza compararle a niente! Va bene dire “questo comptuer è il migliore”, sì, ma il migliore rispetto a cosa? Fatte attenzione ogni volta che usate un comparativo o un superlativo, e assicuratevi di avere sempre bene in mente il termine di paragone al quale si riferisce.

CONCLUSIONE

Che fatica! Devo ammettere che l’articolo mi è uscito molto più lungo di quello che avevo progettato inizialmente. Stavo per dividerlo in due o addirittura tre parti, ma alla fine la voglia di scrivere e di fornire una descrizione il più completa possibile a tutti i miei lettori ha prevalso. 😉 E visto che le mie dita cominciano ad essere stanche, dovrete accontentarvi di una conclusione parecchio striminzita. Adesso sapete i più comuni errori che si commettono durante la formulazione di un pensiero: certo sono tanti, quindi vi sarà difficile tenerli sott’occhio tutti durante le prime settimane, ma con un po’ di allenamento nemmeno voi avrete grosse difficoltà. Questa inoltre è la base della programmazione neurolinguistica, quindi se volete approfondire la PNL adesso avete delle ottime basi di partenza! E se avete voglia di iniziare già da ora, potete leggere il mio articolo sull’ancoraggio. 🙂

25 Dicembre 2010

Come risparmiare senza accorgersene

Stefano risparmiare 4 Comments

pacco di natale rosso
Buon natale! Ma quanto ci costa?

Mindcheats non si ferma nemmeno a natale! In questo periodo pare che regni incontrastata una parola sola: comprare. Comprare per sé o comprare per i regali di natale non fa differenza, quel che è certo è che ci si prodiga a lapidare una buona parte dei propri risparmi. E le grandi catene di negozi lo sanno bene, facendo di tutto per portare i clienti da loro invece che farli andare dai concorrenti, e una volta dentro cercare di vendere il più possibile. Questo non succede solo a natale, ma in tutti i periodi dell’anno.

Oggi parlerò di un elemento che, volenti o nolenti, è entrato nella quotidianità di buona parte degli abitanti di questo pianeta: il supermercato. Emblema della globalizzazione, offre un prezzo contenuto ma una qualità dei prodotti non sempre eccellente. E non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di un’attività economica, quindi il suo scopo principale è comunque fare soldi. E come fa a fare soldi? Semplice, cerva di vendere più prodotti possibili. Quindi attua una serie di tattiche psicologiche per invogliare i clienti a comprare sempre di più di quello che vorrebbero inizialmente; ma fortunatamente il metodo per risparmiare esiste. Gli studi che si celano dietro un singolo scaffale sono lunghi, complicati e molto costosi, e se ci pensate un attimo scoprirete che effettivamente funzionano su tutti noi. Limitare i danni è comunque possibile, scoprendo tutte queste tecniche e facendo attenzione a non cadere nei tranelli. Qui finalmente le mie conoscenze universitarie torneranno utili, visto che il mio libro di marketing di 1000 e passa pagine si riassume volgarmente nella frase “come vendere qualcosa”.

Ma attenzione, non è tutto così semplice come potreste pensare in questo momento: non basta leggere come i supermercati ci invogliano a comprare tutto il comprabile per diventare automaticamente immuni, anzi è un’arma a doppio taglio. Se si abbassa la guardia perché si crede di essere ormai protetti dalle strategie di marketing, ci si sbaglia di grosso. Sono strategie molto avanzate che vengono sviluppate da decenni, quindi bisogna per prima cosa avere l’umiltà di riconoscere che i pubblicitari saranno sempre un passo davanti a noi. Con questa premessa, se ne può limitare l’efficacia con l’ausilio di un’attenta osservazione e qualche consiglio mirato. Bando alla ciance quindi, chiudiamo questa lunga premessa e veniamo al succo di questo messaggio: risparmiare quando si va al supermercato.

fare la spesa

1 – Fare una lista della spesa. E non dico a mente, scrivetevela e portatevela dietro. Scrivere su carta equivale un po’ a scrivere nel cervello (metaforicamente parlando, s’intende), e aiuta a conservare le informazioni molto più a lungo. Oltre che a tornare molto utile quando si parla di memorizzazione a lungo termine, questa interessante proprietà aiuta a portare la mente proprio lì dove si vuole che vada. In questo caso, ci si vuole focalizzare unicamente sugli elementi che si è scelto di acquistare preventivamente.

2 – Attenersi al punto 1. Lo sottolineo, perché è molto importante: a casa difatti si ha sotto controllo la situazione e quello di cui si necessita, e soprattutto si è (quasi) al riparo dall’azione di marketing. Certo la pubblicità ha ancora il suo bell’effetto (e proprio di quella mi occuperò in un futuro post, quindi restate sintonizzati), ma almeno non c’è anche la forte influenza del supermercato. Non cadete nella tentazione di essere invogliati dai prodotti esposti in bacheca: quando vi viene la voglia improvvisa di quella particolare barretta di cioccolato anche se non era inizialmente prevista non è perché vi siete dimenticati di inserirla, ma perché una lunghissima serie di avanzate strategie di marketing vi hanno portato per mano prima a desiderare la cioccolata, poi a vederla e infine a comprarla, anche se in realtà non vi serve. Pensateci, ogni volta che state per fare uno strappo alla regola.

3 – Fate spaziare l’occhio. Sapevate che una data marca deve pagare il supermercato più o meno soldi a seconda di dove è posizionato il suo prodotto? Gli esperti si sono infatti accorti che mettere qualcosa in bella vista (ad esempio ad altezza d’occhio negli scaffali, oppure vicino alla cassa) aumenta la probabilità che sia acquistato, e quindi sono disposti a pagare un sovrapprezzo pur di acquistare visibilità. Naturalmente questo esborso viene girato al consumatore tramite un prezzo leggermente più alto. Per questa ragione, controllate sempre attentamente nella prima e nell’ultima fila di ogni scaffale, perché con tutta probabilità è lì che potrete risparmiare seppur con prodotti di buona qualità. La regola d’oro è: se è particolarmente visibile, allora costa tanto.

4 – Fate il giro al contrario. Vi siete mai chiesti perché, in tutti i supermercati che visitate, l’acqua è sempre in fondo? Quasi sempre vi viene suggerito un percorso posizionando l’entrata da una parte e la cassa da quella opposta, in questo modo vedrete tutti i prodotti nell’ordine che vogliono i dirigenti della catena che visitate. Ovviamente, sfruttano al massimo questo vantaggio: i prodotti piccoli e costosi vengono messi sempre verso le prime file, in questo modo il carrello non si riempirà e avrete la sensazione di aver preso poche cose; sarete così invogliati ad acquistare ancora un po’. Un buon metodo è appunto quello di fare questo giro al contrario: partite dal “fondo” e pian piano risalite, in questo modo metterete nel carrello prima i prodotti economici ma voluminosi, facendovi passare la voglia di prendere altro.

bambini che fanno la spesa
I bambini hanno una grande influenza sulla spesa che farà il genitore

5 – Attenzione ai bambini. Questa è una cosa che non viene mai e poi mai detta nemmeno nelle università di economia, perché è una mossamolto poco etica: i bambini sono facilmente influenzabili con la psicologia, e quindi sono il paradiso di qualsiasi esperto di marketing. Leggendo questa guida voi potete iniziare a difendervi, ma i più giovani non hanno (ancora) questa possibilità. Sconsiglio quindi di portare i vostri figli o nipoti a fare la spesa con voi, perché probabilmente diventeranno il vostro anello debole. Viene infatti applicato alla lettera il semplice concetto che i bambini possono stressare i loro genitori fino a costringerli a prendere quello che vogliono, per sfinimento. È per questa ragione che esistono tantissime pubblicità rivolte alla fascia di età fra i 4 e i 10 anni, anche se ovviamente quelle persone non hanno soldi da poter spendere.

Ecco fatto, ho toccato tutti i punti fondamentali e coperto le tematiche fondamentali che si ripetono sempre uguali ovunque andiate. Ora che sapete quali sono e come difendervi, sono sicuro che riuscirete a risparmiare non pochi soldi nei mesi successivi. Soldi che poi potreste reinvestire in cose molto più utili e divertenti! Ma ve lo ripeto: non abbassate mai la guardia!

23 Dicembre 2010

Come ricordare qualcosa anche se te la sei dimenticata

Stefano Crescita personale memoria 0 Comments

In questo blog più volte ho parlato di come la mente umana sia molto spesso a riposo, non viene sfruttata a dovere e quindi si accontenta delle cose più semplici. Insomma, non sfrutti il tuo encefalo quanto potresti. In tutti gli aspetti il cervello elabora ed immagazzina informazioni ad una velocità estremamente superiore a quelle che sono le normali necessità dell’essere umano medio, e quindi restano assopite senza che ce ne accorgiamo. In particolare, oggi mi focalizzerò sulla memoria e di come essa possa essere stimolata maggiormente per richiamare un’informazione.

focalizzare la mente

Come ti ho già detto, la mente ha immagazzinati moltissimi dati che però considera inutili, e quindi non li richiama e restano sigillati fino a quando non vengono dimenticati. Uno dei modi più efficaci per risolvere questo blocco è l’ipnosi, tecnica che rimuove completamente tutte le barriere auto-imposte dal cervello, ma non è qualcosa di praticabile dalla maggior parte della popolazione.

Purtroppo non basta auto-convincersi della rilevanza della data informazione per renderla accessibile, perché le informazioni che sono state bollate come “inutili” lo rimarranno. Come ho già spiegato nell’articolo dedicato alla memorizzazione a lungo termine, il cervello valuta l’importanza di ricordo in base a quante volte viene richiamato: ma se in questo momento qualcosa non te la ricordi, è impossibile richiamarla dalla memoria! Questo è un circolo vizioso che porta quasi sempre a dimenticarsi quello che invece si sta cercando di ricordare.

Per interrompere il cerchio, devi per così dire “raffinare la ricerca”. Immaginati una grande libreria in cui tutti i libri sono posizionati ordinatamente. Ti viene chiesto di trovare un particolare volume, ma non sai assolutamente dove si trova né hai alcun modo per saperlo: l’unica cosa che ti rimane da fare è iniziare dal primo libro che ti capita in mano e via via passarli tutti, finché non trovi quello che ti interessa.

Se invece sai che il titolo si trova nella categoria “classici della fantascienza”, sarà molto più facile reperire quello che ti serve. Allo stesso modo funziona il cervello: digli dove cercare l’informazione e riuscirà a trovarla molto più facilmente.

Ma come si fa? Ci sono vari modi a seconda di quello che si cerca di ottenere: non a caso ho fatto l’esempio di una libreria ordinata, perché così come quei negozi la corteccia celebrale classifica le informazioni in modo logico e razionale, non mettendole alla rinfusa. Per restringere il campo della ricerca devi focalizzarti su tutti gli aspetti inerenti al ricordo stesso, poi pian piano restringere sempre di più il campo. Facciamo un esempio pratico.

Mettiamo caso che devi ricordare il nome di qualcuno, ma proprio non ti viene in mente. Inizia allora chiedendoti i particolari di quella persona: dove l’hai incontrata, cosa stava facendo e via così. Una volta finiti questi passaggi preliminari, inizia a scendere sempre più in dettaglio: come era vestita, il suo modo di parlare e i tratti caratteristici del suo viso. Cerca di ricreare nella tua mente l’immagine mentale di quella persona, e aggiungi sempre più particolari. Una volta che sei soddisfatto della ricostruzione che hai fatto, è il momento di porti la domanda fatidica: qual è il suo nome? Non ti viene, peccato, non c’è niente da fare.

Sbagliato! Semplicemente perché la tua parte logica non se lo ricorda, questo non significa che l’informazione sia persa. E allora stimola il tuo altro emisfero: immagina. Rispondi in questo ordine alle seguenti domande: il nome è lungo o corto? Qual è la prima lettera? Qual è il suo nome? Anche se non te lo ricordi, tira a indovinare. Se da qualche parte nella tua memoria è stipata l’informazione alla quale stai cercando di accedere, cercare di indovinarla (ovvero obbligare il cervello a cercare una risposta) sarà la chiave. In più adesso il cervello è focalizzato, quindi il procedimento sarà ancora più intuitivo.

Bada bene però, che quanto appena descritto è valido solo se il cervello ha ancora immagazzinata l’informazione desiderata, quindi non può fare miracoli. Per questa ragione il metodo funziona molto bene a brevissimo termine, ovvero entro un’ora dal momento in cui hai per la prima volta sentito il nome (riprendendo l’esempio). Ancora meglio, entro i 15 minuti questa tecnica è quasi infallibile e richiede al massimo un paio di minuti.

13 Dicembre 2010

3 passi per ampliare la zona di comfort e vincere la vergogna

Stefano Crescita personale timidezza 24 Comments

NOTA: Non condivido più alcune delle idee in questo articolo. Più informazioni

Il primo passo per risolvere un problema è riconoscerlo: sembra banale e scontato detto così, ma pensateci un attimo e scoprirete incredibilmente che già questo primo passo viene completamente sbagliato dalla maggior parte delle persone. Io che di psicologia ho letto molto, invece, mi metto costantemente alla prova per imparare i miei limiti e provare a superarli. Ho scoperto, alcuni anni fa, che uno dei miei più grandi problemi era la “vergogna”, o ristrettezza della zona di comfort in gergo. Con dedizione e voglia costante sono riuscito ad ampliare la zona di comfort abbastanza da sentirmi sicuro in tutte le situazioni che mi potrebbero capitare in futuro.

Ho definito la zona di comfort con il termine “vergogna”, ma non è completamente esatto. Con il termine “zona di comfort” si intende quella fascia di situazioni nelle quali ci si trova a proprio agio, ovvero si mantiene il controllo. Solitamente nella maggior parte delle persone questa zona corrisponde alle esperienze di vita già vissute in passato, nelle quali si sa di non essere sotto alcun tipo di pericolo. La sensazione di disagio che si prova quando si è in mezzo ad avvenimenti che non sono noti o che non hanno analogia con le esperienze passate è un meccanismo di difesa, usato dal nostro cervello molto tempo fa per evitare potenziali situazioni di pericolo. Al giorno d’oggi però, dove si vive in un ambiente protetto ed essere azzannati da un leone non è un rischio quotidiano, questo meccanismo di difesa è penalizzante, perché potrebbe farci perdere moltissime opportunità. Per fare un esempio, questa “paura” si manifesta in molte persone quando provano a chiedere di uscire alla ragazza che piace, oppure quando hanno l’opportunità di avanzare di carriera. Si può anche riassumere quanto detto con la parola “imbarazzo”, che ben descrive la situazione che mi propongo di risolvere nelle prossime righe. Che per quanto sia il freno per comportamenti che vengono ritenuti scorretti dalla società, a volte si intromette anche dove non dovrebbe.

Il principio che sta alla base della tecnica per superare tutte queste paure e ansie leggere, è quello di far capire al nostro cervello che in realtà queste situazioni non sono affatto pericolose, ed anzi si possono considerare perfettamente innocue. La fortuna è che questo non va fatto ogni volta: dopo qualche tempo il cervello si abituerà all’idea di non essere sempre in controllo di situazioni che si sono già proposte in passato, e no farà più scattare il campanello d’allarme quando non necessario. L’incredibile capacità di adattamento del cervello qui torna molto utile, permettendoci di cambiare nel giro di pochi mesi un riflesso condizionato ereditato dalle generazioni precedenti.

Badate bene, però, che questo non è affatto un modo per liberarsi delle fobie, ovvero le paure irrazionali. Per quanto il principio sia esattamente lo stesso, non pretendo di curare una fobia con due pagine di post. Sto invece parlando di quelle piccole paure che ci bloccano ogni giorno e che si possono vincere con facilità. Come già detto, il cervello ha solo bisogno di acquisire l’elasticità necessaria per non considerare tutte le situazioni inusuali che incontra un pericolo. Una sorta di “ricalibrazione” per così dire. Purtroppo, questo non può essere fatto senza uscire dalla zona di comfort che ci siamo auto-imposti mentalmente, e questo può causare un forte disagio. Il segreto è di mettersi in situazioni “socialmente imbarazzanti” più volte, fino a quando il cervello capirà che non succede niente di così devastante e pericoloso. Alcuni esempi sono i seguenti:

1 – Camminare in mezzo ad una città con una banana al guinzaglio;

2 – Entrare in un bar, chiedere un bicchiere d’acqua dal rubinetto, poi uscire senza berlo;

3 – Noleggiare un film a luci rosse, a ammiccare quando la cassiera lo nota.

Questi sono solo tre esempi pensati al momento, ma sono sicuro che avete capito il meccanismo: creare appositamente situazioni estremamente imbarazzanti, per abituarsi alla sensazione e via via farla sparire. Naturalmente è il caso di andare in un posto lontano da dove abitate per provare queste cose, altrimenti rischiate di essere riconosciuti da qualcuno.

Lo so, non è una cosa facile. Ma il miglioramento personale non è mai facile, altrimenti lo farebbero tutti giusto? Alla fine pensateci un attimo, non stiamo parlando di niente di così impressionante e vi assicuro che migliorerà di molto la vostra vita. Tanto prima o poi capita a tutti di essere in una situazione imbarazzante, quindi meglio togliersi il pensiero fin da subito e imparare ad affrontarle.

7 Dicembre 2010

Come diventare creativo in 5 semplici passi

Stefano Crescita personale creatività 4 Comments

NOTA: Non condivido più alcune delle idee in questo articolo. Più informazioni

Keith Haring

Il sistema scolastico è da buttare. Non solo quello italiano, il sistema occidentale è ancorato a una struttura che ignora i progressi fatti negli ultimi 50 anni nei campi della psicologia e pedagogia.

Anzi, siamo ancora a un sistema che risale all’antichità. Ancora si studiano le cose a memoria, ancora si pensa che la razionalità sia tutto, ancora non si tiene conto della parti irrazionale e creativa del cervello. Mi rivolgo a tutti gli studenti, specialmente liceali, per evitare che il velenoso apprendimento “classico” stronchi sul nascere qualsiasi tipo di estro creativo.

Io ho già finito l’università. Mi sono fatto semestre all’estero, e qui tutti i professori erano concordi: la scuola uccide la creatività, e la creatività è fondamentale nella vita. Sono d’accordo. Non solo perché è una parte importante del mio lavoro, ma anche perché l’elasticità mentale permette di risolvere agilmente i problemi quotidiani e migliorare la vita.

Prima di iniziare, cos’è la creatività? Il termine può avere una lunga lista di significati, e può quindi essere fonte di confusione.

Anzitutto, è bene dire quello che non è: la creatività non è irrazionalità. Sì può essere creativi pur essendo razionali (ad esempio con il metodo dei sei cappelli per pensare) e vice versa. Qui intendi la creatività come la capacità di elaborare le informazioni raccolte in una maniera nuova e personale, per creare qualcosa di unico.

Niente matematica, niente latino. È invece creatività la programmazione di un software. Per dirla in altre parole, un problema stimola la creatività se ha più soluzioni giuste.

Bisogna prima di tutto accettare la propria parte creativa, e non reprimerla quando vorrebbe venire fuori. Tutti i grandi geni del passato, da Archimede ad Einstein, erano dei creativi di natura che hanno sempre esercitato questa capacità, migliorandola costantemente negli anni. Farlo richiede una pratica costante e attenta: non per niente la parola più adatta è “esercizio”.

Fortunatamente si stanno facendo progressi sotto questo punto di vista ed oggi si hanno a disposizione svariate tecniche per mantenere alta la creatività, ma purtroppo questa innovazione non arriverà nelle scuole prima del prossimo secolo. Bisogna quindi rimboccarsi le maniche e fare pratica nel tempo libero che ci rimane: richiede un certo sforzo, sì, ma i benefici ripagano ampiamente il tempo speso. Ecco qui dei consigli per mantenere la vostra mente viva e attiva.

1 – Fai qualcosa di tuo. Studiare non fa male, ma limitarsi a quello atrofizza la capacità di pensare. Inizia un progetto di tuo gradimento, qualunque esso sia, e portalo avanti con costanza. Non seguire nessun manuale, fai quello che più ti senti e lascia che il risultato arrivi da sé. Ad esempio, io ho creato questo blog.

2 – Sfoga la tua creatività. E non reprimerla, come purtroppo fanno in molti. Se sei bravo a disegnare disegna, se sei bravo a scrivere inizia un romanzo (anche senza pubblicarlo). Anche iniziare un diario ha i suoi effetti benefici!

3 – Sbagliare e migliorarsi. Ecco qui che viene fuori un’altra caratteristica controproducente della scuola: punire l’errore invece che usarlo come base di partenza per il miglioramento. Se ti sei lanciato  in un progetto sappi che l’unico errore che potete fare è quello di non fare niente. Non esistono errori, solo miglioramenti continui basati sull’esperienza. Per definizione quando sviluppi la creatività non avrai di fronte un libro che ti dice per filo e per segno cosa fare e come farlo, quindi l’errore è fisiologico.

4 – Sii curioso. Hai una passione? Potrebbe essere qualsiasi cosa, anche i campi più stravaganti: cartoni animati, lucertole, videogiochi per computer, golf… Se ti piace, potrebbe essere un campo di studi, quindi recupera del materiale e iniziate ad informarvi. Personalmente credo che non esistano delle competenze inutili, e qualsiasi cosa impari ti tornerà utile in futuro. Non hai idea di quello che potrà accadere domani, figuriamoci fra dieci anni, quindi non pensare che alcuni argomenti non meritino di essere studiati. Ricorda sempre che il tuo più grande nemico è l’inattività!

Se metti in pratica questi punti, scoprirai che è divertente oltre che utile e i risultati non tarderanno ad arrivare. Fai esperimenti su qualsiasi cosa ti capiti a tiro, stimola la tua curiosità ad ogni occasione: il metodo migliore per migliorare è quello di farlo un passetto alla volta: oggi qualcosa, domani qualcos’altro, fra due giorni ancora un pezzetto. Non c’è fretta.

2 Dicembre 2010

Come usare l’ancoraggio per fare qualsiasi cosa

Stefano Crescita personale felicità, pnl 9 Comments

ancoraggio
Come dice il nome, l'ancoraggio collega due cose insieme.

Come promesso si torna a parlare di programmazione neurolinguistica, questa volta con un modello molto potente chiamato ancoraggio. Viene utilizzato molto spesso dai venditori più capaci o da alcuni psicologi per suscitare un certo stato d’animo “a comando”, per poi sfruttarlo a proprio vantaggio; ma visto che qui non siamo dei venditori, allora mi concentrerò sull’altro potere dell’ancoraggio: l’autosuggestione. Ricordate quando ho parlato di come si può influenzare lo stato d’animo con le posizioni del corpo? L’ancoraggio si basa quasi sullo stesso principio (relazione fra corpo e mente), ma in maniera più strutturata: si tratta di legare ad una specifica azione una sensazione particolare tramite dei veri e propri ponti di neuroni. Il cervello umano ragiona per connessioni e non a compartimenti stagni (ed è questo il principio alla base della memorizzazione veloce), collegando automaticamente due stimoli sensoriali differenti quando essi si presentano secondo uno schema preciso. In natura questo processo è vitale per l’apprendimento (appoggio la mano sul fuoco e sento dolore, il fuoco è caldo, quindi se appoggio la mano su qualcosa di caldo sento dolore), ma si può forzare per ottenere tutte le reazioni desiderate.

Faccio un esempio per chiarire meglio. Avete presente l’addestramento dei cani? Si utilizza un sistema di apprendimento fatto di ricompense: se l’animale fa qualcosa di giusto gli si da un biscotto o una carezza. Mettiamo che vogliamo insegnare a questo cane ad abbaiare al comando “abbaia”: ogni volta che eseguirà l’ordine correttamente lo si premierà, e in breve tempo nel cervello del nostro pastore tedesco si formerà una connessione neuronale, che associa l’abbaiare al comando il piacere di ricevere un biscotto. Quando questo ponte sarà formato si potrà anche smettere di dare ricompense, perché ormai le due sensazioni saranno collegate indissolubilmente.

Questo è il principio basilare, ma con l’ancoraggio lo si porta ad un livello un attimo più avanzato. Ecco quindi un caso pratico di come applicare questa tecnica:

1 – Definire i punti da collegare. In questo esempio, il nostro obiettivo è quello di associare il battere le mani ad una sensazione di felicità. Battere le mani è effettivamente un ottimo strumento, perché coinvolge tre campi sensoriali: vista, udito e tatto.

2 – Richiamare la sensazione. Chiudete gli occhi, e pensate ad un momento nel vostro passato recente nel quale avete provato estrema felicità: prendete tutto il tempo che volete e focalizzate la mente su un aspetto alla volta. Prima cercate di ricordare tutti gli aspetti visivi, quali oggetti o persone ricordate, l’ambiente circostante e i colori. Poi passate all’udito: cosa sentivate, a che volume e cosa vi ha fatto provare. Terzo, se applicabile, il tatto: cosa o chi toccavate, pensate di averlo lì di fronte a voi e di ripetere gli stessi gesti e le stesse sensazioni. Infine, concentratevi sul quadro generale: avete richiamato tutti gli elementi singolarmente, adesso metteteli insieme per ricordare tutto quanto.

3 – Associazione. Adesso che avete richiamato la sensazione, battete le mani due volte. In questo modo il cervello comincerà a collegare il battere le mani alla felicità. Il procedimento in questo caso è facilitato, visto che nella nostra società il battere le mani ha già di per sé una connotazione positiva. Ma una volta non basta, perché dovete dare tempo al vostro cervello di riconoscere uno schema fra i due punti che volete collegare: se già adesso il primo mattone è stato posato, per costruire il rapporto di interdipendenza ce ne vuole ancora un bel po’. Quindi ripetete questo esercizio ancora una decina di volte per più giorni consecutivamente. Quando fermarsi? Ancora una volta non c’è un numero preciso, avrete collegato i due stimoli quando battendo le mani vi sentirete “miracolosamente” felici.

Nell’ambito della PNL, questa tecnica viene definita come una leggera ipnosi (o auto-ipnosi in questo caso), e viene utilizzata per i più svariati scopi. Ricordate difatti che con l’ancoraggio non si è limitati ad uno schema preciso, ma si può associare qualsiasi cosa a qualsiasi altra. Volendo, si può associare lo sfregarsi le dita ad una forte sensazione di mal di testa: ed è proprio per questa ragione che non va applicato alla leggera.

L’ancoraggio viene insegnato a molti venditori sia per entrare nello stato d’animo adatto, sia per suscitare emozioni particolari nei clienti. Spesso però non viene spiegato nella maniera corretta, e vengono spese solo poche parole a riguardo. L’auto-ipnosi è l’applicazione più semplice, ma ipnotizzare altre persone è tutto un altro paio di maniche e richiede conoscenze di psicologia ben più estese.

Questo è più che sufficiente per iniziare ad applicare l’ancoraggio; ricordate che in quanto tecnica avanzata richiede pazienza e dedizione, ma le soddisfazioni che dà sono veramente tante e ne resterete pienamente soddisfatti.

27 Novembre 2010

Cos’è la PNL?

Stefano Crescita personale pnl 6 Comments

Cos’è la programmazione neurolinguistica? Su questo blog fornisco consigli pratici per sfruttare le potenzialità del nostro cervello, e non una serie di articoli tanto per fare volume; ho creato Mindcheats per andare dritto al punto, al contrario di tutti gli altri. Con questo articolo voglio però fare uno strappo alla regola, e fare un’introduzione a quello che sarà un argomento che da qui in avanti intendo sviluppare e sviscerare in profondità: la programmazione neurolinguistica. Risponderò alla domanda “cos’è la PNL?” nel modo più completo ed esauriente possibile, prima di lanciarmi ad esplorare questo fantastico mondo nelle prossime settimane.

Richard Bandler
Richard Bandler, uno dei fondatori della PNL

Durante le mie ricerche online e non, mi sono più volte imbattuto in questo argomento e l’ho trovato molto interessante, ma c’è un problema: su internet latitano i siti che spiegano l’argomento in maniera chiara e tonda. Tutti sono dei “negozi”, dove ti invogliano a comprare con un paio di frasi messe lì tanto per fare, ma senza dare alcun tipo di supporto pratico. In generale, la sensazione è che le informazioni siano date con il contagocce. Epuriamo la PNL da quell’aura di mistero e magia che la circonda, e iniziamo a dire cosa questa materia non è: una scienza per grandi professori, né un’arte magica in grado di cambiare la vita delle persone in cinque minuti senza il minimo sforzo. E quelli che lo dicono, sono sicuro che stanno per chiedervi di acquistare il loro nuovo libro!

Dare una definizione precisa non è facile, vista l’eterogeneità degli argomenti che la PNL tocca e la sua naturale avversione ad essere catalogata: si può dire che la programmazione neurolinguistica è una serie di tecniche, testate empiricamente, che cambiano il proprio modo di pensare e il modo in cui ci relazioniamo con gli altri.

Espandendo questa definizione, ci si rende conto che gli argomenti toccati sono veramente moltissimi. Principalmente, ed è questo l’aspetto che ritengo più importante, lo scopo pratico della PNL è quello di eliminare le credenze limitanti della nostra mente, e creare invece schemi positivi che ci diano quella spinta necessaria per raggiungere i nostri obiettivi; dove per “schemi positivi” intendo anche metodi per far funzionare meglio il cervello. E non c’è un solo modo per farlo, così come gli stessi padri fondatori di questa materia ammettono: la PNL è continua ricerca e sperimentazione, non è necessario dimostrare scientificamente qualcosa. Se funziona, una tecnica è automaticamente considerata valida senza bisogno di formare delle teorie a riguardo. È anche per questo che la programmazione neurolinguistica non viene definita una scienza, bensì una pseudoscienza.

PNL nelle aziende
Interpretazione dell'utilizzo della PNL nelle aziende, da cingerla.it

Ci sono varie applicazioni pratiche di quello che ho appena detto. Prima fra tutte è il miglioramento personale, quindi fatto senza l’ausilio di un professionista: leggendo dei libri a riguardo, vengono consigliati degli esercizi in grado di stimolare il cervello in aree che erano assopite, rendendolo così più efficace. Un esempio può essere l’esperimento di eliminare il dolore con la forza di volontà. Simile a questo è l’utilizzo della PNL in ambito aziendale, spesso usata per migliorare il lavoro di gruppo. Anche se non si può parlare propriamente di PNL, in questo caso posso citare, a titolo di esempio, il metodo dei sei cappelli di Edward De Bono. Infine si parla di PNL anche come terapia, che quindi si va ad affiancare alla tradizionale psicoterapia. Non mi occuperò di questo aspetto, visto che non rientra negli argomenti del blog.

L’altro aspetto e quello della comunicazione: cose come la persuasione e l’abilità di parlare in pubblico sono contemplate, così come il linguaggio non verbale (ad esempio per smascherare le bugie).

Riassumendo con altre parole, quindi, l’argomento PNL è un contenitore eterogeneo nel quale sono racchiuse svariate tecniche che permettono di modificare le proprie percezioni e i propri schemi mentali e quelli degli altri, facendo leva sulla parte inconscia e irrazionale della nostra mente. Volete saperne di più? Allora iscrivetevi al feed RSS per restare sempre aggiornati, o entrate nel gruppo Facebook per entrare nella comunità di Mindcheats e suggerirmi argomenti che vorreste vedere trattati in queste pagine. 🙂

24 Novembre 2010

Come risolvere qualsiasi problema con il metodo dei sei cappelli per pensare

Stefano Crescita personale raggiungere gli obiettivi 16 Comments

I problemi, purtroppo, li abbiamo tutti. Che scatole vero? A volte sono più grande mentre altre fortunatamente sono secondari, ma come risolverli? La  risposta per molto è semplice: si fanno semplicemente travolgere dalle difficoltà e si lasciano trasportare come una zattera nel mare in tempesta, senza fare nulla per cercare di prendere il comando della situazione. Inutile dirlo, questo atteggiamento passivo e pessimista non porta mai a niente di buono (né è molto in linea con il tema della crescita personale). Aspettare e sperare che i problemi si risolvano da sé non è un atteggiamento vincente, quello che devi fare è prendere il controllo della situazione e dirigerla dove più ti piace. Fra i molti metodi che hai a disposizione ho scelto di presentarti quello dei six thinking hats, o dei sei cappelli per pensare in italiano, elaborato da Edward De Bono.

edward de bono
Edward De Bono

De Bono è il più grande studioso di innovazione del mondo: il suo lavoro è quello di aiutare le aziende ad innovare i propri prodotti, servizi, processi produttivi e altro. Ma le sue competenze non si fermano qui. Nella moltitudine di libri che ha scritto ha sviscerato i meandri della mente umana, ed ora le sue ricerche possono essere sfruttate in modo pratico anche da chi non è il manager di qualche grossa impresa.

Il sistema si basa sul pensiero parallelo, termine coniato dallo stesso De Bono. Di che cosa si tratta? Basta pensare a delle linee parallele: non si incontrano mai. Allo stesso modo, questo metodo permette di mantenere ogni tuo pensiero separato dagli altri, permettendoti così di concentrarti al meglio su ogni aspetto che richiede attenzione. La mente difatti è una matassa veramente attorcigliata di pensieri, idee e sensazioni, un miscuglio di conscio e inconscio. Peccato però che il cervello non riesce a concentrarsi se spazia da un argomento all’altro senza logica, e non rende nemmeno la metà di quello che potrebbe fare se correttamente indirizzato.

Hai presente quando provate a fare più cose nello stesso tempo? È il famigerato multitasking. Magari sei in grado di gestire due o tre attività contemporaneamente, ma sai per esperienza che fare una cosa per volta dà i migliori risultati: la lo stesso principio vale quando si deve pensare a come risolvere un problema. Il trucco, quindi, sta tutto nel costringere la mente a fare una cosa per volta. Armati di carta e penna, si comincia!

I sei cappelli di pensiero di De Bono
I sei cappelli di pensiero di De Bono

In che cosa consiste il metodo? Semplice: analizzare il problema da sei prospettive diverse (dette cappelli), una alla volta, per non creare confusione. I cappelli sono i seguenti, e vanno utilizzati in questo ordine: blu, bianco, rosso, verde, nero, giallo:

1 – Cappello blu: il quadro generale

Il metodo dei sei cappelli si focalizza sugli aspetti specifici del problema, ma non si può andare ad analizzare niente se prima non si fa il quadro generale della situazione. In questa importantissima fase svuota la mente: non c’è fretta, fai qualche respiro profondo se sei teso e aspetta di calmarti.

Quando ti senti meglio, inizia a scrivere su un pezzo di carta qual è il problema, da cosa originato, perché è così difficile da risolvere e come intendi procedere. Ad esempio, se capisci che il tuo problema è che non hai abbastanza soldi per andare in vacanza, la soluzione potrebbe essere guadagnare di più o ridurre le spese. Il come mettere in pratica queste soluzioni sarà affrontato nelle cinque parti successive.

2 – Cappello bianco: i dati oggettivi

Il bianco è un colore “neutro”, né positivo né negativo, e per questo è associato al pensiero neutro e oggettivo per eccellenza: i dati di fatto.

È impossibile pensare di risolvere un problema analiticamente se prima non si cercano tutte le informazioni necessarie che aiuteranno poi a trovare la soluzione. Adesso che hai chiari nella tua mente gli obiettivi e le possibili soluzioni, è tempo di scendere nei particolari e fare un po’ di ricerca. Questa fase, oltre al fatto che può prendere diverso tempo, è anche la più noiosa: qui non dovrai trovare nessun tipo di soluzione e il pensare è ridotto proprio al minimo, l’unica cosa che il cappello bianco richiede è cercare le informazioni e riportarle sinteticamente su un foglio di carta.

Scrivi anche tutti i dati che potranno esserti utili nell’analizzare meglio le possibili soluzioni che hai individuato. Riprendendo l’esempio della vacanza, alcuni dati potrebbero essere la lista delle spese, il tuo stipendio, il costo della vacanza, in che periodo è programmata (per eventuali sconti fuori stagione), se ci sono offerte promozionali e così via. Insomma, se è un dato che non richiede alcun tipo di interpretazione, va a finire nel cappello bianco. Fai attenzione a non cadere nell’errore di scambiare fatti soggettivi per oggettivi: “il capo è un idiota” non è un dato di fatto, semplicemente una tua interpretazione della realtà (okay, a volte è veramente un idiota)!

3 – Cappello rosso: emozioni e sensazioni

Il rosso è il colore della passione, ed è proprio questo che va analizzato in questa fase. Dopo la noiosa raccolta di dati, è il momento di scrivere come il problema ti fa sentire e perché.

Già a questo punto si inizia a differenziare il lato oggettivo da quello soggettivo, permettendoti di focalizzarti meglio su ognuno dei due. Ad esempio, potresti sentirti frustrato o impotente di fronte al fatto che ti mancano i soldi per andare al mare, e dopo tutto quello che hai lavorato pensi di meritarti qualche giorno di ferie lontano dal caos cittadino.

4 – Cappello verde: creatività

Qui puoi pensare ad alcuni metodi su come attuare il tuo bel piano: butta giù qualche idea, anzi buttale giù proprio tutte. Non pensare ancora se la soluzione è applicabile o no! Non importa quanto sia strana, se ti viene in mente scrivila e basta. Questa tecnica è fatta per concentrasi su una cosa alla volta, e questo è il momento di mettere su carta qualsiasi cosa ti passa per la testa.

Grazie ai passi precedenti hai già analizzato tutti gli aspetti razionali e irrazionali, adesso è il momento di mettersi all’opera e vedere in che modo si può venire a capo della situazione.

5 – Cappello nero: aspetti negativi

Tendenzialmente, quando per risolvere un problema non si utilizza un approccio di pensiero parallelo, in realtà si sta indossando il cappello nero: si pensa sempre in negativo e così facendo una soluzione non la troverai mai. Non è sbagliato essere pessimisti perché ti aiuta a trovare cosa c’è che non va, ma è sbagliato esserlo sempre!

Concentra quindi tutto il tuo negativismo, non avere paura a farti pervadere dalle sensazioni negative, scrivi perché il problema ti sembra così insormontabile e tutti i problemi che hai o potresti avere riguardo a questa vicenda. Cerca di distruggere le idee che hai avuto precedentemente, sii impietoso a più non posso. Finito? Bene! Adesso cambia atteggiamento, è il momento di iniziare a risolvere la situazione.

6 – Cappello giallo: pensiero positivo

È semplicemente il contrario del precedente cappello nero, riprendi tutte le idee che hai avuto e supportale in tutti i modi che trovi. Scrivi non solo perché una data soluzione può funzionare, ma anche i benefici che apporterebbe e in che modo contribuisce alla risoluzione del problema più generale.

Questo è lo stadio più importante, perché è dove si trovano le soluzioni ai problemi. I problemi li conosci già così come tutte le difficoltà, quindi durante questa fase potrai bilanciarli con i benefici e vedere se una soluzione è applicabile oppure no. È utile a questo punto prendere un foglio separato per ogni soluzione che hai già trovato nel cappello blu e quello bianco, poi scrivere da una parte gli aspetti negativi (cappello nero) e dall’altra gli aspetti positivi (cappello giallo): in questo modo avrai subito sott’occhio da che parte pende l’ago della bilancia.

7 – Cappello blu: riassunto

Si torna all’inizio! Come ho già scritto il cappello blu fa vedere il quadro generale di una situazione: prima l’hai indossato per fare mente locale prima di risolvere un problema, adesso lo userai per tirare le somme. Riguarda quello che hai scritto fino a questo punto, prendi le soluzioni e guarda quali sono quelle applicabili (tanti punti a favore e pochi a sfavore), screma quello che non ti serve. Adesso avrai una lista di alcune idee che dopo un’attenta analisi sono risultate essere le migliori, quindi non ti resta altro da fare che creare un piano d’azione per metterle in pratica.

Finito! Utilizzare questo metodo può prendere da mezz’ora ad un paio d’ore se applicato bene, ma ti assicuro che alla fin ti troverai con delle soluzioni che all’inizio non avresti nemmeno immaginato. E tu come risolvi di solito i tuoi problemi? Fammelo sapere nei commenti!

 

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19 Novembre 2010

Come mettere fine alla paura di parlare in pubblico

Stefano Crescita personale parlare in pubblico 8 Comments

Il pubblico inizia ad applaudire mentre voi salite sul palco, i proiettori puntati su di voi e centinaia di sguardi fissi mentre vi posizionate il microfono. Il rumore lentamente cessa, e tutti restano in silenzio in attesa che iniziate a parlare.

presentazione in pubblico
Una situazione nella quale prima o poi tutti si trovano: dover parlare in pubblico.

Provate ad immaginarvi in questa situazione: cosa provate? Vi sentite a vostro agio o invece siete terrorizzati alla sola idea? Alcune persone hanno la fortuna di riuscire a parlare in pubblico senza problemi, altri invece no. Se siete nel secondo gruppo, non disperate! Perché anche se non vi viene naturale, l’ansia di parlare in pubblico si può superare, non importa quanto sia grande o importante la platea che state per affrontare. Con questo articolo ho intenzione di iniziare un “filone” che porterò avanti nel tempo riguardo all’argomento, e oggi partiamo subito con alcuni trucchi che ridurranno sicuramente la vostra agitazione.

1 – Imparate a memoria il vostro discorso. Anche se vi è concesso portare degli appunti, non fateci mai troppo affidamento. Non solo perché una semplice lettura risulterà molto noiosa alla platea, ma anche perché se sapete già alla perfezione quello che dovete dire vi leverete un pensiero dalla testa. Avete presente come i grandi pianisti non abbiano lo spartito di quello che suonano durante i concerti? Il motivo è lo stesso: non volete occupare la vostra mente a leggere quando invece potete semplicemente imparare il discorso prima. Se la presentazione è molto lunga, cercate quanto meno di avere un’idea di quello che dovete dire, e portatevi dietro solo una mappa mentale. Tenere la mente sgombra, senza affollarla con pensieri inutili, deve essere in cima alle vostre priorità.

parlare allo specchio
Parlare allo specchio è il metodo migliore e più semplice per allenarsi nei discorsi.

2 – Ripetete le cose ad alta voce, allo specchio. Perché sapere un discorso a memoria è una cosa, ma saperlo dire è un’altra! Spesso il “vuoto” che si ha mentre si enuncia un monologo, per quanto ben studiato, è causato proprio da questo: l’area per il pensiero mentale e l’area verbale sono completamente distinte nel cervello, quindi bisogna esercitarle entrambe prima del grande giorno. Difatti, tramite una ripetizione costante, si creeranno dei ponti neuronali che renderanno l’esecuzione del compito (in questo caso fare un discorso) più agevole. Lo specchio è anche lui importante, perché così vi allenerete mentre qualcuno vi sta guardando (poco importa se è la vostra immagine riflessa).

parlare al microfono
Il microfono è uno dei peggiori nemici dell’oratore dlettante: fate attenzione!

3 – Se ne userete uno, occhio al microfono! Se (come probabile) non avete la possibilità di esercitarvi a parlare con un microfono, sappiate che almeno per i primi minuti sentire la vostra voce amplificata potrebbe abbassarvi di molto la concentrazione. La sensazione è abbastanza strana e a tratti sgradevole, quindi tenetene conto e cercate di non farvi sorprendere troppo. Magari potete provare a recuperare un microfono per il computer e parlarci dentro mentre riascolta te con delle cuffie la vostra stessa voce.

4 – Ridicolizzate la platea. Cosa che funziona veramente benissimo se di fronte avete gente di un certo spessore, come professori universitari o ricercatori. Un metodo semplicissimo per farlo è… Immaginarseli nudi! E nella vostra mente cercate di farlo nel modo più buffo possibile, estremizzando quelli che presumete siano i loro difetti. Se vi scappa qualche sorriso involontario, allora siete sulla strada giusta! Un altro metodo è immaginarseli tutti vestiti e dipinti da clown, compreso il naso rosso e le scarpe lunghe a banana. Questi non sono che due suggerimenti, ma voi fate pure galoppare la fantasia!

5 – Fissate solo una persona. Non è proprio il massimo quando si parla di intrattenere il pubblico, ma vi toglie un altro pensiero dalla testa. Visto che da qualche parte dovete guardare, la cosa migliore da fare è prendere a caso qualcuno della platea e fissare solamente lui (o lei) per la durata della presentazione. Se per qualche ragione dovete distogliere lo sguardo (ad esempio date un’occhiata ai vostri appunti), tornare sulla stessa persona vi fornirà un’utile ancora di salvataggio. Se vi sentite a vostro agio, è meglio cambiare persona da fissare almeno qualche volta, ma se non vi sentite sicuri potete fare a meno. Ricordate che la mente umana cerca naturalmente il contatto visivo con altre persone e soprattutto si concentra su quello che pensa essere il pericolo più immediato (in questo caso il vostro auditorium), quindi in questo modo prendete due piccioni con una fava sola.

6 – Non cercate di strafare. Online potrete leggere migliaia di consigli e tecniche per rendervi una persona carismatica che sa tenere l’attenzione del pubblico dal primo all’ultimo secondo. Il problema è che presuppongono tutti una cosa: che siate a vostro agio quando l’attenzione è puntata su di voi. Parlare bene in pubblico è una cosa complicata, se provate a farlo quando tremate alla sola idea di salire sul palcoscenico rischiate di fare un pasticcio. All’inizio puntate a fare le cose più semplici, poi con l’esperienza potrete man mano migliorare sempre di più.

7 – Familiarizzate con l’ambiente. Se vi è concesso, è consigliabile andare nel punto nel quale dovrete tenere il vostro discorso. Guardatevi in giro, abituatevi all’ambiente, così quando sarà il momento vi sentirete quasi “a casa”.

8 – L’inizio è la parte più difficile. Man mano che parlate, vi renderete conto che la tensione si allenta: dopo pochi minuti vi renderete conto che avevate ingigantito a dismisura le vostre paure, e che alla fine non sta andando così male come vi eravate immaginati. Pian piano acquisterete scioltezza e il vostro discorso ne gioverà. Molto bene! Fate tesoro di questa esperienza, e ricordatevene per la prossima volta.

applauso
Non vi preoccupate, perché alla fine del vostro discorso succede sempre più o meno questo.

E così anche per oggi siamo arrivati alla conclusione. Queste linee guida potrebbero essere sviscerate ancora di più, ma sarebbe addirittura dannoso farlo: per le prime volte l’obiettivo è quello di mantenere le cose semplici, se inizio a fare descrizioni chilometriche vado contro a questo principio basilare! Quindi anche per le informazioni vale il detto “poche ma buone”, se vorrete affinare ancora di più la tecnica restate sintonizzati su queste pagine, perché nelle prossime settimane vi spiegherò come diventare dei brillanti oratori!

Per concludere, una domanda a tutti voi che leggete questo blog: qual è il vostro rapporto con il palco? Vi considerate dei bravi oratori o no? Aspetto fiducioso i commenti! 😉

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