Il meta model
Continuiamo oggi con la PNL, che segue il mio articolo sulla sua introduzione e punti chiave. Così come ho già detto più volte in passato, c’è una nettissima discrepanza fra la quantità di informazioni che si riescono a percepire e quelle che si possono immagazzinare. Gli input dati al cervello sono così tanti e così complessi che il nostro encefalo, per non impazzire, deve prenderne alcuni e metterli in disparte nell’inconscio senza elaborarli, e se ne dimentica poco dopo. Ho già parlato di come recuperare alcune di queste informazioni nella memoria a breve termine, mentre oggi parlerò di un concetto leggermente diverso: il pensiero attivo.
Via la passività della memoria quindi, e largo al dinamismo dei processi cognitivi. Ma come fa il cervello a pensare? Senza stare ad annoiarvi con disquisizioni infinite, fa quello che fa in tutte le cose: semplifica. Anche qui ci sono troppe informazioni e pensare a tutto sarebbe un suicidio, quindi si costruisce dei ponti mentali atti a velocizzare il processo di elaborazione dei pensieri. L’evoluzione ci ha dotato di questa capacità perché milioni di anni fa era l’istinto che garantiva la sopravvivenza, e una decisione veloce era meglio di una ponderata ma lenta. Al giorno d’oggi però non ci sono più i leoni che ci saltano addosso, quindi è possibile fermarsi un po’ di più a riflettere. Peccato che il cervello ancora non si è abituato a questo nuovo assetto, e continua a semplificare. Spesso sbagliando, visto che sovente il cervello elimina delle informazioni essenziali ritenendole inutili, causando un effetto a catena che ci porta a sbagliare tutto e a credere a cose assolutamente false.
E lo fa in molti modi diversi, senza che ce ne accorgiamo. I due fondatori della programmazione neurolinguistica, Richiard Bandler e John Grinder, hanno elaborato il meta model (modello meta) nell’ambito della psicoterapia, dove viene utilizzato appunto per smascherare queste semplificazioni e aiutare il paziente. L’efficacia del metodo se paragonato ad altre tecniche moderne è tutt’oggi in discussione fra gli esperti, ma a noi non importa: quel che conta è che è semplice da applicare ed efficace senza grossi sforzi, se poi esistono tecniche ultra-complicate migliori lasciamole pure a chi fa lo psicoterapeuta per mestiere.
Finiamola con le parole quindi, ed ecco tutte le gabbie mentali che si crea il cervello e una semplice descrizione di come rimediare. L’articolo si dividere in tre parti, corrispondenti alle tre categorie individuate: distorsione, generalizzazione, eliminazione.
DISTORSIONE
1 – Presupposizioni. È il comportamento più classico e lo si può osservare in tutte le cose che pensiamo o diciamo: quando si fa un’affermazione, si danno per scontate alcune nozioni che potrebbero non esserlo. Ad esempio, dicendo “anche Giorgio è disonesto” si presuppone che ci sia qualcun altro oltre a Giorgio ad esser disonesto. Non è difficilissimo da individuare, e basta soffermarsi su ogni affermazione per qualche secondo e verificare che i presupposti logici abbiano in effetti ragione di esistere.
2 – Causa-effetto. Questa è un’estensione del pensiero causale, ovvero X causa Y, oppure X mi fa sentire Y. Alcuni di questi collegamenti sono essenziali e si formano con l’esperienza (“se metto la mano sul fuoco mi scotto e sento dolore”), purtroppo però a volte questo procedimento fallisce e i ponti che si vengono a creare si basano su fondamenta non del tutto veritiere. Ad esempio, “il mio capo mi manda su tutte le furie” dovrebbe portare alla domanda: come può una sola persona influenzare il tuo stato mentale in questa maniera? Lo fa solamente perché il cervello crede ciecamente nella relazione di causa-effetto, e quindi non si pone nemmeno il problema di riflettere sul punto in questione.
3 – Leggere la mente. Ovvero credere di sapere cosa pensi un’altra persona. Ad esempio il classico “l’hai fatto apposta per farmi arrabbiare” dà per scontato che io sappia già in anticipo cosa pensa l’altra persona. Badate bene: a volte questo è effettivamente vero, e una serie di indizi ci possono condurre a sapere cosa pensa questa o quella persona, ma altre bisogna fare un passo indietro e capire che siamo tutti diversi.
4 – Equivalenza complessa. È molto simile al legame di causa-effetto, ma molto più forte e diretto. Ad esempio, dire “se non mi porta fuori a cena non mi ama più” è una semplificazione causata da una lunga serie di condizionamenti mentali e presupposti spesso errati, che vanno poi a formare le fondamenta di un pensiero che si crede razionale, ma in realtà si poggia su basi del tutto errate.
GENERALIZZAZIONE
Anche questa categoria si suddivide in vari punti, perché contrariamente a quanto pensano in molti non esiste un solo tipo di generalizzazione, bensì due secondo la teoria del meta model.
1 – Quantificazione universale. È in sostanza quella che tutte le persone chiamano “generalizzazione”, in realtà si chiama quantificazione universale. Significa attribuire a tutto un gruppo una caratteristica che invece si riferisce ad uno o più elementi del gruppo stesso (come dire “tutti i miei impiegati sono scansafatiche”). Qui il campanello d’allarme è dato dalle parole “tutto”, “tutti” e simili, visto che nelle scienze umane l’eccezione c’è quasi sempre.
2 – Operatori modali. Torniamo a scuola: cosa sono i modali? Sono alcuni verbi come potere, dovere, sapere e volere. Si dividono in due categorie: modali di necessità (esprimono un obbligo inderogabile, soprattutto di tipo morale) e di possibilità (esprimono una possibilità che non deve essere per forza compiuta). Qualsiasi sia il metodo utilizzato, basta guardare la situazione da un’altra prospettiva, chiedendosi il fatidico “e se invece”. Ad esempio, se si pensa “devo tornare a casa” si faccia seguire la domanda: “cosa succederebbe se non tornassi a casa?”.
ELIMINAZIONE
1 – Eliminazione semplice. Avviene quando un’importante parte della frase viene eliminata, perché è data erroneamente per scontata. “Mi sento male” non specifica né perché ci si sente male né cosa significa la parola “male”. Dire “mi fa male la testa perché ho preso una botta” è già più completo (anche se ad essere puntigliosi si potrebbe indagare cosa si intende per botta). Qui solitamente le parole magiche sono “questo”, “quello” e “ciò”, ad esempio “questo mi fa sentire male” non specifica cos’è che fa sentire male. Bisogna andare ad analizzare il problema per trovare una soluzione, restare sul vago eliminando i dettagli è la via maestra per restare nell’immobilità senza speranza di miglioramento.
2 – Verbi generici. Si definiscono generici sia i verbi quali alcuni, un po’, diversi e così via, sia quelli dove non si riesce ad individuare come sia stato generato un risultato (se io dico “ho creato questo sito” non specifico come l’ho creato, e vi assicuro che ha preso parecchio del mio tempo!). Una piccola parentesi: questa è la tecnica preferita del venditori in erba di crescita professionale (che si spacciano anche esperti di programmazione neurolinguistica), e ancora di più dai venditori all’americana. Usano verbi generici del secondo tipo per far sembrare semplice qualcosa di complicato, dicendo ad esempio “per iniziare a guadagnare ti basta scrivere un e-book e crearci un sito”. Peccato che scrivere un libro non è impresa da tutti e creare siti è un lavoro vero e proprio.
3 – Comparativi e superlativi senza comparazione. Torniamo di nuovo a scuola: i comparativi sono quelle parole che comparano due o più cose mettendole in ordine di qualità (migliore, peggiore, più buono, più caldo, meno interessante), i superlativi invece danno più enfasi all’aggettivo che viene “superlativizzato” (evviva ho appena inventato un termine), come bellissimo, grandissimo, altissimo, il più grande, il più alto. Il problema è che molti utilizzano queste parole senza compararle a niente! Va bene dire “questo comptuer è il migliore”, sì, ma il migliore rispetto a cosa? Fatte attenzione ogni volta che usate un comparativo o un superlativo, e assicuratevi di avere sempre bene in mente il termine di paragone al quale si riferisce.
CONCLUSIONE
Che fatica! Devo ammettere che l’articolo mi è uscito molto più lungo di quello che avevo progettato inizialmente. Stavo per dividerlo in due o addirittura tre parti, ma alla fine la voglia di scrivere e di fornire una descrizione il più completa possibile a tutti i miei lettori ha prevalso. 😉 E visto che le mie dita cominciano ad essere stanche, dovrete accontentarvi di una conclusione parecchio striminzita. Adesso sapete i più comuni errori che si commettono durante la formulazione di un pensiero: certo sono tanti, quindi vi sarà difficile tenerli sott’occhio tutti durante le prime settimane, ma con un po’ di allenamento nemmeno voi avrete grosse difficoltà. Questa inoltre è la base della programmazione neurolinguistica, quindi se volete approfondire la PNL adesso avete delle ottime basi di partenza! E se avete voglia di iniziare già da ora, potete leggere il mio articolo sull’ancoraggio. 🙂