Mindcheats
  • Home
  • Nuovo? Inizia qui
  • Risorse gratuite
    • Il manuale anti confusione
    • Imparare l’inglese
  • I miei corsi
    • Ero Timido
    • Inglese Dinamico
    • Obiettivo Lavoro
  • Blog
  • Contatti
RSS
26 Febbraio 2011

Come auto-indurre l’effetto placebo

Stefano Crescita personale terapia del dolore 3 Comments

Secondo Wikipedia, per effetto placebo si intende una serie di reazioni dell’organismo ad una terapia, non derivanti dai principi attivi insiti dalla terapia stessa, ma dalle attese dell’individuo.

In altre parole, una prova che dimostra quanto l’autoconvinzione non produca effetti solo a livello psicologico, ma anche fisico: un paziente può guarire senza alcun medicamento specifico, se pensa che stia ricevendo una medicina miracolosa. Il noto effetto è stato ormai accettato nella disciplina medica, e viene preso in considerazione quando si deve sperimentare la reale efficacia di un nuovo farmaco.

effetto placebo

È con questa breve descrizione che apro il terzo e ultimo post sul dolore e su come ridurlo. Se non le hai ancora lette quindi, potrebbero interessarti anche la prima parte e la seconda parte.

Parlerò del famosissimo effetto placebo, ma sotto una luce totalmente diversa: come riuscire a indurselo da soli. Sottolineo ancora una volta che qui parlo solamente della mia esperienza personale, quindi se questa tecnica con te non funziona non prendertela con me!

L’idea di andare più a fondo in questo aspetto è nata da un’osservazione fatta su me stesso. Talvolta soffro di sinusite verso la sera, e per farla passare utilizzo sempre l’aspirina. Ha sempre funzionato, quindi non ho motivo di cambiare. Una volta però le aspirine le avevo finite, e quindi mi sono rivolto al Moment. Nonostante per l’utilizzo che ne ho fatto andasse ugualmente bene, non mi è parso altrettanto efficace.

Incuriosito da ciò, e dopo aver pensato all’idea di un possibile effetto placebo, ho fatto un esperimento: ho preso due pillole, un’aspirina e un Moment, e le ho messe insieme. Nei due mal di testa successivi che mi sono capitati, ho preso una pillola a caso senza sapere quale delle due fosse, e ho osservato l’effetto. In questo modo ho annullato l’effetto placebo, per far sì che fossero solo i principi attivi a calmare il dolore. Il risultato è stato in effetti interessante: entrambe le medicine funzionavano allo stesso modo.

Perché? L’aspirina ha sempre funzionato, e quindi non ho mai avuto motivo di dubitare della sua efficacia. Per questo motivo fin da subito dopo averla presa iniziavo a sentirmi meglio, per il semplice fatto che sapevo con certezza assoluta che entro breve sarei stato bene. Con il Moment, invece, c’era una seppur minima incertezza: sapevo bene che avrebbe funzionato, ma non l’avevo mai sperimentato personalmente. Il dubbio quindi rimaneva, e l’effetto placebo non ha funzionato come avrebbe dovuto.

Ora, passando alla parte pratica: come si può sfruttare tutto ciò? Anzitutto, utilizzando i medicinali che hanno già funzionato su di te quando possibile. Quando invece devi prendere qualcosa di nuovo, il consiglio che do è di informarsi per togliersi qualunque dubbio.

Ma convincere la mente conscia non è che la prima parte. Per persuaderti fino in fondo, ascolta l’opinione di qualcuno del quale ti fidi, di un amico o del medico (se il farmaco è prescritto) magari, e concentrati su quello. Anche se la medicina è nuova, in questo modo, avrai preparato il campo per stimolare l’effetto placebo.

Il procedimento è sostanzialmente inutile se devi prendere una pillola e basta, ma può essere d’aiuto qualora sia sottoposto ad una cura del dolore che si protrae per più di qualche giorno (ad esempio dopo l’estrazione di un dente).

24 Febbraio 2011

Come ho ridotto il dolore grazia all’autoconvinzione – parte 2

Stefano Crescita personale terapia del dolore 9 Comments

Questo articolo è una continuazione naturale di quello di ieri, dove ho parlato di un metodo da me scoperto (ok, forse non solo da me) per ridurre il dolore. Avevo promesso un altro articolo sullo stesso argomento a breve, quindi eccomi qui!

ridurre il  dolore

Invece di fare un post lungo come quello di ieri, questa sera mi limiterò ad un intervento più breve e sintetico: la tecnica più grossa e importante l’ho spiegata nell’ultimo articolo, e già solo quella vi sarà di aiuto (così come è stata di aiuto a me). 

Ad ogni modo, nella mia (dolorosa) esperienza ho trovato un altro piccolo stratagemma che, personalmente, vorrei consigliare a tutti: è semplice e immediato, un po’ come tutto quello che trovate su queste pagine (concedetemi un po’ di auto-promozione, suvvia)!

Il metodo è quello di tenersi occupati. In mancanza di qualcos’altro da fare il cervello si concentrerà su quella che ritiene la priorità più pressante: il dolore. La mente non è stupida, sa che il dolore è un allarme del corpo, quindi si focalizza automaticamente su di quello.

Non è una bella cosa, ma l’evoluzione ha voluto così e non possiamo farci niente! Quello che invece possiamo fare è concentrare l’attenzione su qualche tipo di svago che tenga la mente occupata.

Personalmente, mi sono trovato molto bene guardando telefilm (che hanno meno momenti morti dei film) e giocando a videogiochi frenetici (che stimolano intensamente la corteccia celebrale).

Al contrario non mi sono trovato particolarmente bene con attività che richiedono più concentrazione, come leggere un libro o studiare: non è difatti un segreto che il dolore abbassi l’attenzione, ed è quindi più vantaggioso spostarsi verso attività di più semplice fruizione.

Non potendo prestare attenzione a più cose simultaneamente, ti dimenticherai almeno parzialmente del male che stai provando. Questo funziona in special modo con i dolori di intensità non troppo elevata, a seconda della tua soglia del dolore.

Ti interessa sapere dell’altro? Bene, allora leggi la terza parte di questa mini-serie sul dolore: come auto-indurre l’effetto placebo.

23 Febbraio 2011

Come ridurre il dolore con l’autoconvinzione

Stefano Crescita personale terapia del dolore 9 Comments

Sapevi che esiste una malattia che non fa sentire alcun dolore? Si chiama insensibilità congenita al dolore con anidrosi (o CIPA dall’acronimo inglese), ed è causata dalla mancanza delle terminazioni nervose adibite a recepire gli stimoli sensoriali.

Queste persone non sono in grado di provare dolore, ma nemmeno caldo e freddo. Un sogno dirai? No!

Il dolore, per quanto odiato da tutti, è il campanello d’allarme del corpo che ci indica che qualcosa non va, e ci permette di porre rimedio. Senza dolore è impossibile accorgersi di un’ustione o di una frattura, il che comporta forti rischi. Per sapere di più della malattia vi rimando all’articolo di Wikipedia.

Oggi ti parlerò del dolore e di come ridurlo.

Un’esigenza pratica dovuta alla mia sgradevole esperienza dal dentista, e all’estrazione di un dente particolarmente brutta. Ottimo dentista niente da dire, ma un dente del giudizio è sempre un dente del giudizio.

Ho già parlato di una tecnica per curare il mal di testa e di come guardare il dolore aiuti a ridurlo. Peccato che il primo metodo sia poco efficace quando si parla di lacerazioni, e il secondo è inapplicabile (l’ex dente era bello in fondo).

Sono quindi andato alla ricerca di metodi alternativi e più funzionali.

O meglio, visto che a me piace sperimentare, ne ho creato uno per conto mio. E per fortuna l’ho trovato, grazie alle conoscenze che ho acquisito man mano che facevo ricerche per gli articolo precedenti. 😉

Quindi qui sotto racconto l’esperienza pura e semplice, un metodo che ha funzionato per me. Probabilmente quanto sto per dire è stato già dimostrato dal grande professore di turno, ma al momento mi focalizzerò su quello che ho sperimentato io. Sì, sei di fronte ad un articolo completamente originale!

Il dolore di origine psicologica

Il mio punto di partenza è stata una constatazione: ho notato che molte persone, quando vedono o sentono una storia particolarmente dolorosa (ad esempio, leggendo le tecniche di tortura medievali) rabbrividiscono e sembra quasi che possano provare il dolore che viene loro raccontato.

Ti è mai successo? Dimmelo nei commenti! 🙂 Questo è il potere della visualizzazione mentale: il cervello tende a credere e a rendere reale quello che immagina in modo più vivido (a proposito di visualizzazione, hai mai visto il film Sfera? Se ti piacciono la psicologia è la fantascienza, te lo consiglio).

Ci si mettono di mezzo anche i neuroni specchio, che ti fanno immedesimare in quello che provano gli altri.

Il secondo passaggio è scoprire che quello descritto sopra funziona ancora meglio quando il dolore che si immagina esiste veramente, basta amplificarlo in questo caso.

Io che ho mal di denti, se mi immagino come sarebbe estrarre un dente senza anestesia, o che si stia sviluppando un’infezione proprio nella mia bocca, sento aumentare il dolore (sì anche adesso, ma un esempio dovevo pur farlo – e poi non dire che non mi sacrifico per te).

Naturalmente, più ci si concentra sull’immagine e più il male sarà acuto. Il principio è sempre quello della visualizzazione mentale, con la differenza che adesso è supportato da uno stimolo sensoriale fisico (il dolore appunto, e nel mio caso anche la memoria del perché si è manifestato).

Una tecnica per sentire meno dolore

Mi sono quindi chiesto se il principio potesse funzionare anche al contrario. Mi sono immaginato il dente che stava guarendo pian piano, i nervi dolenti mentre venivano riparati, l’infiammazione che si attenuava e così via. E con mia grande felicità, il metodo ha funzionato.

Non solo, ma è anche semplice da applicare e non richiede grandi sforzi: all’inizio devi concentrarti, ma una volta che avrai visualizzato l’immagine desiderata dovrai solo tenerla a mente, e potrai senza problemi continuare con le tue attività quotidiane. Anche se ho scoperto la tecnica solo ieri sono abbastanza sicuro che possa essere applicata a tutti i tipi di dolore.

E questa non è la sola cosa che ho scoperto in questi primi due giorni di degenza, leggi la seconda parte qui: come ridurre il dolore grazie all’autoconvinzione – parte 2.

20 Febbraio 2011

Illusioni ottiche: come funzionano e perché?

Stefano ricerche e scoperte scientifiche 11 Comments

illusioni ottiche
Le linee sono dritte, ma se si fissa il centro...

Il cervello, per quanto potente, deve comunque sottostare ad una serie di limiti fisici invalicabili. Fra questi, uno assume particolarmente importanza: la velocità. La spiegazione delle illusioni ottiche può essere ricondotta a questa limitazione o, per essere più precisi, al modo in cui la mente cerca di aggirarla.

È difatti risaputo che da quando l’occhio vede un’immagine a quando essa viene processata dal cervello, permettendoci quindi di interpretare i segnali visivi, passa circa un decimo di secondo. In altre parole, quello che noi effettivamente vediamo non è il presente, bensì il passato. Un decimo di secondo può sembrare molto poco, ma in certe situazioni potrebbe diventare un vero handicap: basti pensare a quando si deve afferrare un oggetto in volo, o quando si devono coordinare movimenti molto rapidi.

Ci sono vari studi sul come la mente compensi questo limite, e ad oggi non c’è una soluzione che metta tutti d’accordo. Una teoria molto accreditata, comunque, è quella del dottor Mark Changizi del Rensselaer Polytechnic Institute di New York. Secondo le sue ricerche il cervello vede nel futuro. Resosi conto dell’incapacità di processare immediatamente gli stimoli visivi, per non rimanere troppo indietro con la realtà, interpreta ulteriormente i segnali inviati dagli occhi: cerca di prevedere cosa succederà nell’immediato futuro, e si basa su quelle informazioni per interpretare la realtà che ci circonda. In particolare, il cervello prevede il movimento in base ai dati che raccoglie nel tempo, e prevede in anticipo cosa succederà fra una frazione di secondo.

Ed è proprio qui che le illusioni ottiche come quella mostrata sopra intervengono: gli schermi LCD e le immagini in generale sono un’invenzione molto recente, e il cervello non si è evoluto in modo da riuscire ad interpretarle correttamente. Quindi interpreta i disegni e le linee come degli oggetti tridimensionali, e cerca di intuire che tipo di movimento potrebbero avere. A seconda dell’illusione ottica che guardate l’immagine suggerisce al cervello un tipo diverso di movimento, creando una distorsione della stessa.

19 Febbraio 2011

Scoperta la molecola dell’ottimismo

Stefano ricerche e scoperte scientifiche ottimismo 4 Comments

molecola organica a computer
Le molecole sono alla base dei processi chimici.

Soprattutto nell’ultimo periodo, la scienza ha fatto passi da gigante per quanto riguarda la psicologia e la neurologia, che ormai si stanno sempre più avvicinando ad altre materie come la chimica. È una cosa che io in effetti dico già da diversi anni: per quanto rimanga tutto avvolto sotto un fitto strato di nebbia, alla fine anche la neurologia e la psicologia vanno ricondotti a processi chimici che si sviluppano all’interno del cervello. A loro volta questi processi chimici sono regolati dal DNA, diverso per ogni persona.

In questa direzione si muove anche l’ultima scoperta dell’università del Michigan: l’ottimismo è strettamente legato alla presenza di una molecola chiamata neuropeptide Y, come dimostra l’esperimento che hanno eseguito. Quando messi di fronte a parole con significato negativo (come schiavitù o morte), i soggetti con una quantità inferiore del neuropeptide attivavano maggiormente l’area della corteccia prefrontale, l’area che processa le emozioni.

In altre parole, sembra che la presenza di questa molecola inibisca le emozioni negative, rendendo di fatto più ottimisti. In futuro questa scoperta potrebbe portare a importanti sviluppi sia nel campo della medicina che in quello della psichiatria, soprattutto nella cura di malattie quali la depressione.

Ma attenzione a non prendere questa scoperta come una condanna: per quanto sia adesso dimostrato che il pessimismo ha una base chimica, non è affatto detto che non ci si possa fare proprio niente a riguardo. Tutti gli studi effettuati nell’ultimo trentennio, che illustrano come sia possibile ribaltare il pessimismo in ottimismo, restano assolutamente validi. La mente è e resterà sempre l’aggregato di cellule più complesso esistente su questo pianeta, ed un qualsiasi effetto ha un numero sterminato di concause che vanno analizzate e sulle quali si può spesso intervenire.

Ricordo infine che, nonostante scoperte del genere si susseguano praticamente ogni giorno, la maggior parte del cervello e dei suoi processi restano comunque un mistero. La sperimentazione su base empirica fa quindi ancora la parte del leone, seguendo l’adagio del “se dimostro che funziona e come funziona, non devo per forza sapere il perché”.

18 Febbraio 2011

La grande differenza fra ottimisti e pessimisti

Stefano ricerche e scoperte scientifiche ottimismo 17 Comments

L’ottimismo è il profumo della vita andava dicendo un famoso spot pubblicitario andato in onda fino a non molto tempo fa (magari c’è ancora, non lo so, guardo pochissimo la TV).

Non è solo una campagna dei centri commerciali per attirare nuovi clienti, è questo quello che appare leggendo le ricerche del professor Wiseman: è stato dimostrato scientificamente che essere ottimisti non solo rende effettivamente più fortunati, ma aiuta anche a creare occasioni per sé e per la propria felicità.

ottimismo pessimismo

Insomma, a quanto pare non è del tutto sbagliato dire che esistono persone fortunate ed altre sfortunate. Quello che non è corretto, invece, è il rapporto di causa – effetto che in molti attribuiscono al fenomeno. Una persona non diventa pessimista perché è sfortunata, bensì l’esatto contrario.

E se è vero che sfortunati si nasce, si può cambiare in meglio. È dopo aver letto questa ricerca che mi sono interrogato sulle ragioni più profonde che hanno portato a questo risultato.

Fortuna e sfortuna non sono elementi che vengono appioppati da un qualche tipo di entità superiore dal momento in cui siamo nati, mi sono detto. Dopo aver letto diverse altre ricerche simili e aver condotto delle osservazioni personali, sono arrivato ad una conclusione: tendenzialmente i pessimisti sono passivi verso la vita e il mondo esterno, non prendono iniziative perché pensano che comunque le cose andranno male. Al contrario gli ottimisti sono attivi, sorridenti e non perdono occasione per dimostrare che le cose possono andare per il verso giusto, in barba alla categoria opposta. Questa è un’altra ottima ragione per pensare in positivo!

Il pensiero positivo può portare ad una serie infinita di possibilità, ed è la mentalità che spesso fa la differenza. Un ottimista uscirà più spesso e proverà nuove cose perché “non si sa mai cosa potrebbe accadere”, mentre un pessimista penserà “perché dovrei uscire? Tanto vedo sempre le stesse facce”.

Una persona fortunata, quando invitata ad una festa, avrà come obiettivo principale quello di divertirsi, cosa molto probabile visto che si tratta di una festa fra amici. Quello sfortunato, al contrario, partirà con il presupposto di trovare l’anima gemella; o meglio, saprà già che è una causa persa. Oltre al fatto che effettivamente trovare la donna (o l’uomo) della propria vita ad un party fra amici non è proprio una cosa che succede tutti i giorni, un pessimista cercherà di creare delle situazioni che confermeranno il pensiero preesistente.

Come ho già detto in altri articoli, infatti, il cervello non vuole auto-contraddirsi e non vuole fare la fatica di mettere alla prova le credenze già date per vere; come ho già detto quando ho analizzato il meta model, la mente scarta automaticamente le informazioni che non corrispondono con la propria visione del mondo.

Per questo, se qualcuno si crede sfortunato, farà inconsciamente di tutto per confermare questa tesi ogni giorno, rafforzando ancora di più la credenza. Anche se è fondata su presupposti totalmente errati, questo ci renderà molto spesso miopi anche di fronte all’evidenza.

Anche sul posto di lavoro, le limitazioni auto-imposte possono avere un impatto devastante. Il pessimista non crederà mai in sé stesso abbastanza da lottare per una promozione, o per portare avanti un progetto difficile che gli garantirebbe un premio di produzione.

L’ottimista invece si lancerà a capofitto appena si presenta l’occasione, consapevole del fatto che con un po’ di fortuna potrebbe effettivamente farcela. E anche se fallisce, penserà “beh, andrà meglio la prossima volta”.

La principale differenza fra ottimista e pessimista è quindi la mentalità con la quale le due categorie affrontano il mondo e le situazioni che si presentano. Non va sempre bene a tutti, e questo è assodato, ma continuare a provare prima o poi porterà ad un sicuro successo, basta credere in sé stessi.

14 Febbraio 2011

Il dolore passa se lo si guarda

Stefano ricerche e scoperte scientifiche terapia del dolore 5 Comments

Affrontare il dolore non è solo una massima da film americani, ma funziona veramente: questo è quello che hanno dimostrato, in una ricerca congiunta, gli scienziati dell’University College di Londra e dell’università Bicocca di Milano. I risultati sono molto interessanti, e aiuteranno chi proprio il dolore non lo sopporta (come anche la tecnica per ridurre il mal di testa).

Mal di schiena
Il mal di schiena è proprio una brutta bestia!

L’esperimento è stato condotto grazia all’aiuto di una serie di volontari, ai quali è stato chiesto di stringere nella mano una pallina con all’interno una resistenza elettrica che si scaldava gradualmente. I volontari avrebbero dovuto premere un pedale quando il dolore sarebbe diventato insopportabile. Metà dei soggetti aveva la mano nascosta alla vista, mente l’altra metà poteva vedere la parte dolorante.

I risultati sono stati inaspettati:  i volontari che potevano vedere la propria mano avevano una soglia del dolore molto più elevata degli altri, e mediamente riuscivano a tenere la pallina per molto più tempo e fino a temperature nettamente più elevate. Questo esperimento ha dimostrato che guardare il dolore aiuta a sopportarlo meglio.

Ma qual è la spiegazione dietro a tutto ciò? Come dimostrano altri esperimenti passati, la mente si fida molto della vista più che degli altri quattro sensi. Per questa ragione, anche quando sente dolore, se vede che l’arto dolorante non presenta alla vista delle lesioni pensa ad un falso positivo, e automaticamente smorza la sensazione di dolore. Un aumento di temperatura non ha segni visibili, e per questo il test ha dato il risultato sopra descritto. Ma attenzione:  non funziona in tutti i casi.

Infatti gli esperimenti di questo tipo vanno sempre presi con le pinze, e limitarsi ad osservare il risultato senza un’analisi più approfondita può portare a degli errori. In questo caso, si può erroneamente pensare che guardare la fonte del dolore agisca sempre da anestetico.  Purtroppo, questo non è vero. Anzi, talvolta è il contrario. Se il male che si prova può essere confermato anche dall’occhio, come nel caso di una ferita sanguinolenta, si corre il rischio che  il dolore aumenti invece che diminuire come nel caso qui sopra. Ancora una volta, la mente si fida dell’occhio: una ferita brutta da vedere è sicuramente grave ed è quindi opportuno amplificare il dolore per mandare un segnale di pericolo più forte, pensa il cervello. Naturalmente, più la ferita è brutta e più il dolore sarà amplificato artificialmente.

Quindi prendiamo questa ricerca e sfruttiamola per ricavare un consiglio effettivamente utile: se vi fa male una parte del corpo, guardatela solamente se non presenta segni che evidenzino la fonte del dolore. Altrimenti, è molto meglio restare nell’ignoranza!

12 Febbraio 2011

Riconoscere i problemi per risolverli

Stefano Crescita personale risolvere i problemi 3 Comments

Compra questo e-book e scopri come risolvere tutti i tuoi problemi e diventare un figo assurdo! Tanto bello e simpatico, peccato che questa frase salti a piè pari la fase precedente e altrettanto importante: riconoscere un problema. Che spesso è la fase più difficile e sicuramente la più insidiosa.

facepalm al computer

Visto che questo non è un e-book (almeno non ancora) e scrivere più di un paio di pagine annoierebbe anche il più coriaceo dei miei lettori, però, mi trovo costretto a suddividere in più e più parti l’arte del problem solving, ovvero risolvere i problemi. Oggi parlerò della prima fase logica, quella che temporalmente viene prima di tutte le altre: accorgersi che c’è qualcosa che non va. Io studio economia all’università, e risolvere i problemi è una parte importante della mia (futura) professione. Per quanto li si affrontino a livello economico, le nozioni apprese si possono riadattare e convertire anche per quelli che sono i problemi quotidiani: quelli che interessano a tutti noi, in altre parole. Molto spesso, per quanto si permanga in una situazione di disagio, non si riesce a trovare il nocciolo della questione. Invece il malessere che talvolta si prova ha sempre una causa, che a sua volta ha sempre una soluzione. Ecco a voi un semplice schema che vi consiglio di applicare più volte, quando sentite che c’è qualcosa che non va.

1 – Rendetevi conto dei vostri limiti. Da una prospettiva “interna” è spesso estremamente difficile rendersi conto dei propri problemi. Questo avviene, come forse avrete già intuito, dal problema della soggettività: quando si è emotivamente coinvolti in qualcosa raramente si riesce a prendere delle decisioni ponderate e razionali, e si ha una prospettiva distorta della realtà. E naturalmente, i propri problemi sono la cosa più soggettiva ed emotiva che si possa concepire! Per questo il primo passo è non fidarsi ciecamente di sé stessi e di quello che si pensa (almeno in questa fase, badate bene che la fiducia in sé stessi resta comunque estremamente importante negli altri ambiti).

2 – Fermatevi a pensare con calma. Forse sono io a pensare molto più lentamente di quel che dovrei, ma trovo molto utile soffermarmi a riflettere per qualche minuto. Con calma cerco di identificare e definire meglio come mi sento, magari scrivendolo per fare il punto della situazione (cosa che personalmente consiglio a tutti), e in seguito vedere quali possono essere le varie cause. Anche se non sembra niente di che, si possono già qui ottenere dei risultati niente male.

3 – Fidatevi degli altri. Chi fa da sé fa per tre dice il proverbio, ma occhio a non applicarlo a tutto. Non solo parlando, ma anche osservando gli altri troverete sicuramente degli spunti molto utili per il vostro miglioramento personale. Sono spesso gli amici o i parenti a notare una situazione di disagio alla quale, paradossalmente, voi potreste non aver mai pensato. Anche se io mi sento bene, se un amico dice che nota “qualcosa di strano” o mi chiede se va tutto bene, mi fermo sempre a pensare perché sembro essere giù di corda, o particolarmente stanco. Un check-up regolare del proprio stato emotivo è importante come quello medico, e notare un problema prima che si manifesti in maniera più deleteria può salvare da un sacco di guai: interagire con altre persone può aiutare questo processo.

4 – Azione! Tutti i passi sopra elencati sono assolutamente inutili se ci si limita a trovare un problema. Ho visto veramente tante, anzi tantissime persone che non fanno altro che lamentarsi di quanto sono sfortunate e di quanto la loro vita vada male. Non “curare” i problemi personali spesso porta ad una spirale di costante peggioramento che diventa sempre più difficile da interrompere e far regredire: per non cadere in questo “piccolo” inconveniente, dovete darvi da fare il prima possibile. Non si possono semplicemente mettere da parte e aspettare che svaniscano da soli, perché raramente succede. Anche se siete dei pigri cronici (un po’ come me!), i benefici di prendere nelle vostre mani le decisioni importanti (e meno importanti) della vita per il vostro benessere saranno immensi. Provare per credere!

Ti è piaciuto l’articolo? Allora passa alla fase successiva e impara come risolvere i problemi con il metodo dei sei cappelli! Oppure preferisci iscriverti ai feed RSS o al gruppo Facebook?

7 Febbraio 2011

Come strutturare una presentazione efficace

Stefano Crescita personale parlare in pubblico 2 Comments

microfono per conferenza

A tutti capita, prima o poi, di dover parlare in pubblico.  Sia che il pubblico sia composto da dieci o da diecimila persone, si presuppone che tu sia in grado di deliziarlo. Prima una buona preparazione, assicurandoti di evitare il panico da palcoscenico, poi si inizia a pensare a come poter comunicare efficacemente con chi ti sta di fronte. Ci sono corsi costosi che insegnano a dei manager poco spigliati come comunicare efficacemente, in realtà bastano alcuni accorgimenti per fare un figurone.

La cultura nostrana sull’argomento è assai scarsa e poco ricettiva: sono pochi i relatori che riescono a intrattenere il pubblico, gli altri si limitano semplicemente ad un monologo noioso e piatto. La gente si annoia, non ascolta e non ricorda nemmeno una parola.

Se vuoi sortire un qualche effetto su chi ti ascolta, devi mantenere l’attenzione alta. Vuoi mettere l’autostima che cresce ad ogni parola andata a segno?

Non è difficile, perché il livello medio è infimo: basterà poco per fare un figurone. La struttura che darai è un passo fondamentale, perché senza quella non c’è storia che tenga: la tua relazione sarà appena mediocre nel migliore dei casi. Ecco cosa devi fare per non incappare in questo errore.

Un primo mantra efficace è: “prima dimmi quello di cui vuoi parlare, poi dimmelo, e infine riassumi quello che mi hai appena detto”. Semplice. Ogni orazione si compone di cinque fasi: introduzione, prefazione, corpo, riassunto, domande. Ognuna di queste fasi ha una sua struttura interna e un compito specifico, che dovrà essere ben chiaro prima di poter intraprendere la stesura del testo.

1 – Introduzione

È utile se chi ti sta ascoltando non ti conosce. Questa è una situazione molto frequente, quindi introduci te stesso, la compagnia che rappresenti (se è questo il caso) e così via. Fai in modo che chi ti ascolta ti conosca personalmente, crea quella connessione che sarà utile nelle le fasi successive.

2 – Prefazione

Una panoramica generale di quelli che saranno gli argomenti portanti.

In questo modo metterai il pubblico a suo agio e lo aiuterai nella fase dell’apprendimento: se il cervello già sa quali argomenti saranno trattati, inizierà a creare una sorta di struttura nella quale inserire le informazioni che gli darai. Saranno tutti più concentrati, perché non continueranno a chiedersi “ma finisce fra due minuti o due ore?” Per questa ragione è anche utile specificare la durata della presentazione stessa, così come eventuali pause caffè.

3 – Corpo

Qui parla di tutto quello di cui devi parlare.

Ricordati di rispettare la scaletta che hai anticipato prima, altrimenti rischierai che il pubblico prenda e se ne vada. Un po’ come questo post è strutturato in cinque punti, elabora il corpo in punti sequenziali. Dagli un ordine logico.

Se puoi fai ampio ricorso agli strumenti audiovisivi: diapositive, filmati ed effetti sonori coinvolgono il cervello di più delle parole. Tieni sempre in bella vista (degli spettatori) uno schema con il riassunto della presentazione, di modo che l’occhio possa sempre andare a vedere a che punto sei.

4 – Riassunto

Comincia ad allenare la memoria a lungo termine: alla fine della presentazione, ripetere velocemente tutti gli argomenti trattati costringerà la mente di chi ti ascolta ad andare a ripescare nella memoria, aiutando a fissare i ricordi. Se veramente ci tieni al pubblico, allora fagli questo favore!

5 – Domande

Raramente chi ti ascolta conosce l’argomento che esponi bene quanto te, quindi avrà delle domande sugli argomenti che hai tralasciato nella presentazione ufficiale. Anche la più brillante delle presentazioni lascerà qualche buco ad almeno una persona, ma spesso quella persona non chiederà niente. A volte perché pensa di essere l’unica a non aver capito, o non vuole fare perdere tempo agli altri, fatto sta che devi convincere chi ti ascolta a partecipare attivamente in questa fase.

Se sei riuscito a tenere sveglio il pubblico, magari interagendo con loro con battute o “sondaggi” ad alzata di mano, saranno più propensi a svelare le loro perplessità. Chiedi sempre se ci sono domande, non farlo in maniera retorica: spendi almeno qualche secondo a comunicare l’idea che sicuramente ci saranno dei punti poco chiari, e che tu sei lì a rispondere.

Anche se non sai rispondere alla domanda che ti viene posta, niente panico: puoi girarci attorno con una risposta vaga o indirizzando chi chiede ad una persona più informata di voi.

L’esperienza è l’ultimo passo, quello che cambia tutto. Se vuoi diventare bravo a tenere discorsi, allenati e allenati ancora. Fai esperimenti, non dare niente per scontato, guarda quello che funziona e scarta quello che non funziona.

Ma questo vale per qualsiasi aspetto della vita.

22 Gennaio 2011

Mappe mentali

Stefano studio 12 Comments

mappe meltali
No dai, non è fra le più complesse.

Sono in pochi a non aver mai sentito parlare delle famose mappe mentali, che vengono proposte come uno dei migliori metodi di studio. Niente di più vero, ma come con ogni cosa bisogna avere un po’ di criterio: utilizzarle non è difficile ma non è nemmeno così banale come potrebbe sembrare, e per ottenere il risultato migliore bisogna tenere presenti alcune accortezze. In questo modo si può riuscire a fissare nella mente le informazioni che si vogliono mantenere, e risparmiare veramente un sacco di tempo quando si parla di studiare per un esame.

1 – Studiare il libro

Eh, sì, purtroppo questa parte devi ancora subirtela in tutto il suo “splendore”. Le mappe mentali vanno utilizzare per ripassare e non per studiare, quindi la prima fase è sempre quella.

Ciò che invece non dovrai fare è la seconda noiosissima parte: cercare di ricordare tutto quello che hai studiato. Di solito si usa ripetere milioni di volte la stessa cosa, ma d’ora in poi puoi lasciarti alla spalle questo bruttissimo metodo. Se vuoi aiutarti a studiare più velocemente, allora quello che ti serve è un corso di lettura veloce.

2 – Metti l’argomento principale in centro

Prendi un foglio bianco, meglio se di dimensioni generose, e scrivi al centro il filo conduttore di quello che hai studiato. Puoi utilizzare il titolo del libro, ad esempio. O se l’argomento è veramente vasto, puoi dedicare una mappa mentale per ogni macro-argomento (ma cerca sempre di limitarti).

3 – Fai partire tanti rami

Tanti quanti sono gli argomenti principali direttamente correlati a quello iniziale, fai partire una serie di frecce che puntano alle varie categorie; se preferisci, puoi scrivere i punti direttamente sopra alla linee (come nell’immagine qui sopra): questo è molto utile soprattutto all’inizio, per abituarsi a non scrivere tonnellate di testo. Se hai studiato bene precedentemente, ti verranno in mente centinaia di cose.

È normale, ma non puoi iniziare un elenco infinito. Pensaci un po’ e cerca di includere tutti gli argomenti in pochi punti. Ad esempio, l’argomento centrale “mappa mentale” può essere suddiviso nell’elenco numerato che compone questo post.

Ricorda di essere sintetico: cinque o sei parole bastano per descrivere un concetto. Ricorda che non devi riscrivere tutto quello che sai, altrimenti sei punto e a capo.

4 – Sviluppa

Da ogni punto che hai precedentemente individuato, fanne partire altri che spieghino più in dettaglio lo stesso. Cercando di mantenere sempre la solita sintesi, puoi utilizzare più e più ramificazioni per i punti chiave.

5 – Usa un colore per argomento

Ognuna della macro-categorie che hai fatto partire dall’argomento principale della mappa dovrà avere un colore definito e facilmente distinguibile dagli altri. In questo modo il tuo cervello sarà ancora più incline ad archiviare separatamente le informazioni, rendendo lo studio più efficace. In altre parole, con i colori dici al cervello che non deve mischiare le cose.

6 – Usa la creatività

Puoi aggiungere dei disegni o delle figure geometriche familiari insieme alle parole. Perché diciamolo: le parole sono noiose e impersonali, e per questo al cervello non piacciono e non le ricorda.

Quello che invece gli piace sono le cose creative, quindi usale ad esempio per richiamare i punti fondamentali da memorizzare. Sperimenta con il tempo soluzioni alternative, con la pratica troverai un metodo su misura per le esigenze del tuo cervello.

7 – Ripeti

Adesso ricordare quello che hai studiato non sarà più un problema. O meglio, ripassarlo sarà un gioco da ragazzi. Non ti serve più prendere il mattone di mille pagine e passare ore e ore a ripetere tutto a memoria, ti basterà prendere in mano la mappa mentale per avere immediatamente sott’occhio tutto il necessario.

Una volta che la mente ha ben fissata la struttura generale, richiamerà tutte le informazioni senza problemi, i vuoti di memoria saranno solo un brutto ricordo. Quindi non solo i ripassi saranno più veloci, ma anche molto più efficaci. In questa fase ti tornerà utile sapere come funziona la memorizzazione a lungo termine. 😉

Il metodo che si cela dietro alle mappe mentali è quello delle connessioni. Al cervello non piace memorizzare le informazioni in forma di testo, ovvero come ci vengono proposte nel manuale, perché non è così che i neuroni si interfacciano fra di loro. La mente umana è una rete, dove ogni cellula è collegata con dei “fili” (dendriti) ad ogni altra. Imitando in piccolo questa struttura nel metodo di studio, il cervello riuscirà a memorizzare a una velocità superiore.

«< 33 34 35 36 37 >»

Articoli correlati

  • Come sottolineare un libro

    Leggi l'articolo >>

  • Il manuale del riposo perfetto: gratis online solo su Mindcheats!

    Leggi l'articolo >>

  • All’universo, di te, non gliene frega niente

    Leggi l'articolo >>

  • Nella vita devi compromettere: ecco come

    Leggi l'articolo >>

  • La Svezia, i bambini e l’identità sessuale

    Leggi l'articolo >>

Mindcheats - Trucchi per sfruttare la mente

Categorie

  • Mini-articoli (1)
  • interviste (5)
  • Senza categoria (6)
  • Comunicazioni di servizio (11)
  • risparmiare (14)
  • ricerche e scoperte scientifiche (16)
  • sonno (33)
  • studio (38)
  • Crescita personale (259)

↑

  • Note legali | Privacy Policy
  • Ads policy
© Mindcheats 2023
Powered by WordPress • Themify WordPress Themes

Usiamo i cookie per fornirti la miglior esperienza d'uso e navigazione sul nostro sito web.

Puoi trovare altre informazioni riguardo a quali cookie usiamo sul sito o disabilitarli nelle impostazioni.

Mindcheats
Powered by  GDPR Cookie Compliance
Panoramica privacy

Questo sito usa cookie. Policy a questo indirizzo.

Cookie strettamente necessari

I cookie strettamente necessari dovrebbero essere sempre attivati per poter salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie.

Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie.